4 Racconti brevi: L'ESILIO



Gabriel & Michael (Katya Sanna)


L'ESILIO

1.Il  Re imprigionato
2.Incognito
3.Il Comando
4.Gabriel e la Regina


IL RE IMPRIGIONATO

Il Re era da solo nella penombra di una delle sale dell’astronave.
Un salone vuoto con una grande vetrata che si affacciava verso il cielo.
Davanti a lui le Stelle e i Pianeti silenziosi.
Ai suoi occhi sembrava un cielo irreale e fittizio.
Niente gli ricordava come, un tempo, era il suo cielo.
Ormai era troppo silenzioso, troppo nero.
Una ragazza entrò nella sala:    
- Siamo nuovamente isolati Mio Signore - disse la ragazza
Il Re sospirò coprendosi il viso con le mani:
- Che disastro! - disse con un filo di voce
La ragazza s’intristì nel vedere il Sovrano così  preoccupato.
Lui si voltò verso di lei e le sorrise:
- No, non ti preoccupare per me. 
- Allora posso andare?
- Si certo vai pure - le sorrise il Re
Era dinuovo solo.
Si voltò verso il cielo e continuò a guardarlo corrugando la fronte.
Cercava qualcosa di famigliare fra le Stelle, ma non trovava niente.
La sua Città era lontana, perduta.
La pace era perduta.
I ricordi no, quelli no, ma non gli bastavano i ricordi.
Lui era proiettato continuamente in avanti, proteso a creare cose nuove. 
Ma era prigioniero e niente era più come un tempo.
Abbassò lo sguardo verso il pavimento voltando le spalle alla vetrata.
Trasalì.
Voci acute e stridule si stavano avvicinando all’astronave.
Grida agghiaccianti lo insultavano.
Il Re vide il pavimento della sala riempirsi di sangue che avanzava verso suoi piedi.
Le pareti ed il soffitto sembravano ridursi colorandosi di un viola livido, malato.
Si voltò verso la vetrata.
Non si vedeva più il cielo, ma un’infinità si esseri diafani che volavano confusamente scagliandosi sul vetro.
Continuavano ad urlare.
- Ha mandato voi - sorrise il Re mantenendo lo sguardo basso.
Guardava il sangue ondeggiare intorno ai suoi piedi, il sangue sembrava animato da un che di rabbioso, perché non riusciva a toccare il Re.
- Manda voi perché ha paura di guardarmi in faccia il vostro Re.
Quelli continuavano a strillare.
- Non riesco a credere che voi eravate con me - disse malinconico - ed ora guardate cosa siete diventati - alzò gli occhi verso di loro.
Non appena gli occhi del Re incrociarono le figure vorticose, quelle lanciarono un urlo di terrore e indietreggiarono violentemente, come se fossero state risucchiate.        

Alice si trovava in Polonia, a Danzica, nella sua camera, in un piccolo caseggiato  nei pressi del porto.
Era notte fonda ma la strada era comunque parecchio trafficata.
Faceva alquanto caldo, malgrado dalle finestre, tutte spalancate, entrasse un venticello piacevole.
Alice era impegnata a scrivere il suo diario.
In quei giorni utilizzava una vecchia macchina da scrivere che aveva trovato nella casa che la ospitava. Una macchina vecchia e rumorosa, rumore che le teneva compagnia dato che le sue coinquiline la notte erano sempre per strada a lavorare.
Alice terminò di scrivere, nascose i fogli sotto il materasso del suo letto e si affacciò alla finestra per guardare il panorama.
Non era una bella visuale: l’asfalto della strada, camion che sfrecciavano, e più giù il porto dove grosse navi mercantili sembravano dormire.
Lasciò andare un sospiro che descriveva appieno la sua perplessità.
Si recò in cucina per preparare un tè.
La porta d’ingresso si aprì ed in casa entrarono due ragazze:
le sue due coinquiline, Agnieszka e Tamara.
Alice andò incontro alle sue amiche richiudendo subito al porta a chiave.
- Hai bevuto un bel po’ tu - sorrise Alice
- Sono sbronza! - rise Agnieszka 
- Io stavo preparando un tè.
Le tre ragazze si accomodarono in cucina.
Agnieszka ridacchiava intontita, mentre Alice posava sul tavolo lo zucchero, le tazze, e la teiera.
- Pensavo non sareste tornate - disse Alice versando il tè
- Ci siamo fatte accompagnare e li abbiamo mollati... - sorrise Tamara
- Questi non vi piacevano? - chiese Alice
- No erano carini...- ridacchiò Agnieszka - Ma certe cose noi le facciamo solo per lavoro! Oggi eravamo in ferie!
Alice sorrise bevendo il tè.    
- Così alle tre di notte siamo qui a casa: una annoiata e l’altra ubriaca.
- Lo sai che mi hanno detto - disse Agnieszka ad Alice - che è questa l’ora delle streghe non mezzanotte...
- Vuoi dire che siamo tre streghe? - chiese Tamara, quasi offesa
- Beh! Guardaci - ridacchiò Agnieszka - tre donne da sole in piedi a quest’ora intorno ad un tavolo...
- Io ho sempre sentito che l’ora delle streghe è mezzanotte... - disse Tamara
- E invece pare che siano le tre! - ribadì Agnieszka - Perché non brindiamo a noi tre? Alle tre, siamo in tre, con il tè...A noi streghe!
- Questa è l’ora degli Angeli - intervenne Alice.
Le due la guardarono sorprese.
- Come sarebbe? - chiese Tamara
- A quest’ora il tuo Angelo ti viene a trovare nei tuoi sogni - spiegò Alice.
- Alice sorprende sempre! - esclamò Agnieszka
- Certo che sei davvero surreale! - disse Tamara ad Alice
- E cosa viene a fare un Angelo nei miei sogni? - domandò Agnieszka
- Ti informa di alcune cose e si preoccupa per te - sorrise Alice
- E basta? - continuò Agnieszka - Che noia! Non sa fare altro quest’Angelo?
Alice sorrise, Agnieszka invece scoppiò a ridere quasi strozzandosi con un sorso di tè.
- Allora perché non brindiamo agli Angeli? - intervenne Tamara
- Ma si brindiamo agli Angeli! - esclamò Agnieszka alzando la tazza.
Le tre avvicinarono le loro tazze per brindare, Tamara si fermò guardando Alice:
- C’è un Angelo in particolare a cui possiamo indirizzare il nostro brindisi?
Alice esitò un attimo. Tamara la guardava aspettando una risposta.
- Sto crollando dal sonno - sbiascicò Agnieszka con la testa molle
- All’Angelo della Luna - rispose Alice all’improvviso.
- E questo chi è? - ridacchiò Agnieszka
- Un brindisi all’Angelo della Luna! - esclamò Tamara.
Le tre brindarono e terminarono di bere il tè.
Agnieszka all’improvviso si addormentò, lasciando sbattere la sua fronte sul tavolo. 
- E’ crollata! - rise Alice.
Alice e Tamara presero una le gambe l’altra le braccia di Agnieszka, la portarono in camera e la stesero sul suo letto.
- Beh, allora buona notte - disse Alice avviandosi verso la sua stanza
- Di un po’ - disse Tamara - ho visto un biglietto del treno a tuo nome...
- Vi ho detto che sarei stata poco tempo...
- Ma perché non hai avvisato che saresti partita così presto? Appari e scompari come un fantasma tu!
- Scusami non volevo offendervi...
- A volte essere troppo discreti può essere un brutto difetto, sembra che non ti importa niente di nessuno, fai, disfi, decidi, ma cosa fai? Chi frequenti? Dove vai?    
- Per la verità non ho segreti non vedo nessuno non frequento nessuno...
- Raccontale ad un altro...Chi sarebbe questo fantomatico Angelo della Luna?
- L’Arcangelo Gabriele.
- L’Arcangelo Gab...Ho capito...Lasciamo stare - Tamara si mise a ridere - Come non detto. Buona notte Alice! 
Alice tornò nella sua camera e si sdraiò sul letto, con lo sguardo fisso verso il soffitto.
Aveva la mente confusa, si sentiva svuotata ma allo stesso tempo piena di pensieri affollati; era stanca, ma non aveva sonno.
Sbuffò come al suo solito e provò a chiudere gli occhi.
Li riaprì subito, era sbalordita e incredula.

- Maestà! - esclamò - Riesco a vederti! Sei in piedi davanti alla vetrata...Riesco a vederti! - Alice provò grande gioia.
- Ciao Alice! - le rispose il Re - Come stai? Sei ancora arrabbiata con me?
- Io sono sempre arrabbiata con te! - rispose Alice sottilmente ironica.
Il Re sorrise e si sedette su un gradino alla base della vetrata (gradino che percorreva tutto il perimetro del salone: un vero e proprio sedile) avvicinò le ginocchia al petto e vi appoggiò la fronte abbracciandosi le gambe.
- Cosa succede? - domandò Alice
- Siamo dinuovo isolati, sempre prigionieri - il Re era molto triste
- Cosa pensi di fare?
- Non lo so.
- Come non lo sai? - Alice si allarmò - Se non lo sai tu che lo deve sapere?
Quella risposta dal Re proprio non se l’aspettava, ne fu delusa.
- Non posso avere dubbi io? - le chiese il Re
- No! - rispose acida Alice
- E invece ne ho, e tanti anche.
- E’ strano sentirti così...
Il Re si stese supino con le braccia incrociate dietro la nuca:
- Piuttosto, là come stanno le cose?
- Hanno tutti una strana idea di te...
- E tu non fai niente per modificare le cose immagino - sorrise lui
- Cosa posso fare? Non voglio confondermi con certi tipi che si spacciano per filosofi...Io non sono una filosofa!
Il Re si mise a ridere: si divertiva ogni volta che Alice si alterava:
- Che so, puoi dire che sono un bel ragazzo: biondo con gli occhi azzurri!
- No non va bene, ultimamente funziona di più il tipo mediorientale - Alice ridacchiò - Un africano! Potrei dire che sei un africano...Un Masai! Ti sta bene?
- Si si va bene! - rise il Re
Subito però il Re tornò triste.
- Ma perché non fermi tutto questo? - domandò seriamente Alice
Il Re non rispose, addirittura s’intristì ancora di più.
- Perché non vuoi mai dire a nessuno quali sono i tuoi piani?
Il Re non rispondeva.
- Sembra che ti diverta a guardare!
Il Re continuava a non rispondere.
- Tutto questo silenzio non ti fa onore! - strillò infine Alice
Il Re si ostinava a starsene zitto.
- Non credo che tu non possa fare proprio nulla - insisteva Alice
- E invece è proprio così - rispose il Re
- Non ti credo!
- E’ la verità.
- E’ una follia!
- Volevi una risposta e te l’ho data.
- Questa non è una risposta...
- Una volta innescato il meccanismo non lo puoi fermare a metà strada: bisogna che arrivi alla fine del suo ciclo - le disse il Re
- E’ assurdo quello che dici! - Alice si era innervosita
- Non sono stato io a volere la vostra infelicità, i miei progetti erano altri.
- Ma allora perché non ti sei imposto?
- Per essere liberi si deve scoprire fin dove ci si può spingere ed accettare le responsabilità del caso: io volevo la vostra libertà.
Alice avvertì una grande amarezza nella voce del suo Re:
- Parli come un padre deluso dalle scelte dei suoi figli.
- In effetti sono un po’ deluso si.
- Forse avevi troppa fiducia...
- Non sono un illuso - ridacchiò il Re 
Anche Alice sorrise.
Il Re tornò pensieroso; lasciò andare un sospiro:
- Davvero sei ancora arrabbiata con me? - le chiese dolcemente
- Si - gli rispose risoluta.
Il Re chiuse gli occhi come per cancellare la risposta che aveva sentito.
- Ma ti giuro che farò tutto quello che mi sarà possibile per farti tornare ad
occupare il tuo Trono! - continuò lei.  
- Non ti chiedo di fare più di quello che già devi.
- Devi riprenderti quello che ti spetta di diritto!
Gli occhi del Re si bagnarono di lacrime che scesero sulle tempie.
Alzò un braccio tendendo le dita verso l’alto.
Anche Alice fece la stessa cosa e anche lei si commosse.
Riuscì a vedere la mano del suo Re avvicinarsi alla sua, lei allungò le dita e con un gesto rapido afferrò le dita del Re stringendole fra le sue.
Il Re sorrise.
Un lampo accecante sorprese Alice, per lei fu come entrare in un sogno:
vide un lago, alle spalle del lago montagne altissime affollate da alberi.
Poi un prato pieno di piccoli fiori colorati che arrivavano fino alla riva del lago, un lago brillante, illuminato da tre grandi Soli che giganteggiavano nel cielo.
Al centro del lago una casa circolare, tutta di vetri e cristalli che la facevano somigliare ad un diamante.
Alice ebbe una strana emozione: un misto di nostalgia e speranza.
- Non è un sogno mia Principessa - le disse il Re
- Neanche io sono un illusa - rispose Alice cercando di non farsi rapire da quello che secondo lei era poco più di un miraggio.
- Proprio non vuoi credermi? - mormorò il Re
- Io credo a tutto e non credo a niente.
- Hai paura di essere ingannata anche da me?
- Sei tu che mi hai mandato quaggiù.
Malgrado la sua amarezza Alice era comunque felice di parlare con il suo Re e sentirlo così vicino e sensibile nei suoi confronti.
Il Re chiuse gli occhi le strinse forte la mano.
Un urlo agghiacciante spaventò tutti e due.

Sulla vetrata dell’astronave si attaccò come una ventosa un essere mostruoso che urlava e graffiava il vetro con gli artigli.
Evanescente come quelli che lo avevano preceduto, ma più robusto e perfido.
Alle spalle e di fronte ad Alice si materializzarono due strani individui dal viso angelico, la pelle d’oro ed occhi grandi, con l’iride violaceo, bellissimi ed ipnotici. 
Uno dei due prese Alice alle spalle stringendole il collo con un braccio, l’altro avanzava su di lei come un rettile.
Il Re si alzò in piedi ad osservare il mostro che continuava a urlare e graffiare la vetrata; mentre la sala cominciò a vibrare come se si dovesse scatenare un terremoto.  
Alice era immobilizzata dai due individui che le parlavano minacciosamente, lasciando uscire fiotti di sangue dalla loro bocca dalla quale si intravedevano grandi denti appuntiti come quelli dei coccodrilli.
- Ti devi arrendere all’evidenza: siamo noi il Nuovo Ordine - le disse quello che le stava davanti alla faccia.
- Il tuo Re non esiste più! - le disse in un orecchio quello che le stringeva il collo.
- Non avere paura Principessa - le disse il Re.
- Voi non siete un bel niente - ghignò Alice ai due - siete poco più di manichini senza Anima!
A quelle parole i corpi dorati dei due si coprirono di crepe per poi sbriciolarsi e sparire davanti agli occhi di Alice.
La sala dove si trovava il Re cessò di vibrare.
Il mostro sparì.
- Il potere delle parole! - rise lei dopo un attimo di smarrimento.
- Lo credo che il tuo Angelo è così innamorato di te - disse il Re divertito dall’ironia della Principessa.
Alice si stese dinuovo sul letto coprendosi con il lenzuolo. 
Sia lei che il Re sembrava potessero rilassarsi.
Magari il Re, ma non Alice.
Dalla finestra ancora aperta entrò un grosso insetto nero, forse un moscone o un calabrone.
Volò direttamente verso Alice ronzandole intorno alla testa ed alle orecchie disturbandola non poco.  
Alice cercò di cacciare l’insetto, che invece di allontanarsi cominciò a  cozzare  sulla fronte infilandosi fra i capelli.
Lei colpì con la mano l’insetto che svanì nel nulla.
- Alice - sussurrò il Re - io ci sono ancora.
- Non lasciarmi - le disse lei innervosita.

Il Re camminava lentamente nella sala, poi si fermò.
I suoi occhi seguirono lo strano movimento di una stella nel cielo.
Alice che si era dinuovo sdraiata.
Improvvisamente si sentì gelare dal freddo, un freddo immotivato perché quella era una notte afosa.
Istintivamente si avvolse nel lenzuolo, ma poi ebbe un intuizione.
Allontanò bruscamente il lenzuolo da lei e si rialzò, inginocchiandosi sul letto.
Il Re si sedette appoggiando la schiena sulla vetrata:
- Non hai motivo di avere paura - le disse accorato. 
Alice vide avanzare una luce.
Una piccola nuvola di luce.
Una luce intensa e accogliente. 
Ma fu il suo incedere che non le permise di ingannare Alice.
Procedeva arrogante, quasi rapace.
Si fermò davanti al letto altezzosa e sicura.
Alice andò su tutte le furie:
- Vattene! - strillò - Vai via! Non ti avvicinare!
Strillava a squarciagola, tanto da far diventare roca la sua voce che si spezzò.
La luce indietreggiò pian piano riassorbita dalla penombra della camera.
Alice cominciò a tossire senza potersi fermare.
Sputò del sangue attraverso la tosse.
Si spaventò molto.
Si sentì sola, non avvertiva più la presenza del Re.
Scoppiò a piangere.

- Alice! - esclamò Tamara entrando nella camera - Cosa sta succedendo? Perché strilli così?
Alice piangeva disperata, senza dare risposta.
- Cos’è questo sangue sulle lenzuola? - chiese sconcertata Tamara.
Ma Alice non parlava, piangeva a dirotto senza dire una parola.
- Cosa è successo? - disse Agnieszka, che arrivò frastornata, appoggiandosi alla porta della camera di Alice.
- Non lo so deve aver avuto un incubo - le rispose Tamara titubante.
- Mi spaventa vederla in questo stato.
- Evidentemente il tuo Arcangelo non può proteggerti dai brutti sogni - sorrise Tamara accarezzando la spalla di Alice, che però si scansò bruscamente.
- Il suo Arcangelo ha i propri incubi da combattere - mormorò il Re guardando il Pianeta Terra dalla Sala in cui ancora si trovava.
- Non esiste nessun Arcangelo! - brontolò fra i singhiozzi - Dimenticate le cose che vi ho detto - continuò a bassa voce - non esistono né Angeli né Arcangeli...
- Peccato - cercò di essere spiritosa Agnieszka - stavo già immaginando com’era
l’Angelo della Luna...
- Voglio morire - mormorò Alice
- Ehi! - esclamò Tamara - Come ti vengono in mente queste cose!
- Poveri i miei Principi - sussurrò con amarezza il Re camminando a testa bassa - che strada impervia devono percorrere.
Agnieszka si avvicinò:
- Si può sapere cosa è successo?
Ma Alice non dava nessun genere di chiarimento, si coprì il volto rannicchiandosi sul letto e voltando le spalle alle due ragazze.
Tamara e Agnieszka la guardarono perplesse; quando notarono che Alice si era tranquillizzata la lasciarono da sola.

Il Re voltò lo sguardo e sobbalzò.
- Credi davvero che io abbia paura di guardarti in faccia - era Xantyan, il suo antagonista.
Xantyan se ne stava seduto comodo e sicuro di sé guardando il Re con occhi sorridenti e sarcastici.
- Cosa ci fai qui? - gli chiese il Re.
- Io vado dove mi pare - gli rispose tamburellando le unghie sul gradino - Io sono il padrone di ogni creatura dell’Universo!
- Questo lo credi tu - rispose il Re altrettanto sarcastico
- E’ tutto mio anche la tua bella astronave! - insistette l’altro
- Tu hai una paura dannata di noi - sorrise il Re
- Tu non esisti più - sbuffò Xantyan ignorando le parole del Re - anche la tua bella Principessa se ne dovrà fare una ragione!
- Non la pieghi.
- Chi non si piega si spezza prima o poi, è granitica la ragazza, ma ha un nervo scoperto mio caro!
- Quello che tu credi sia un punto debole si rivelerà la sua massima forza - ribadì sicuro il Re.
- L’amore! - rise Xantyan - L’amore non esiste!
- Per te forse.
- Non esiste! - strillò minaccioso Xantyan
- Vedi che hai paura - sorrise il Re - perché strilli? Io non alzo la voce con te.
Xantyan si alzò in piedi innervosito, era tentato di colpire il Re ma strinse i pugni per trattenere la rabbia.
- Cosa credi di fare? - disse il Re seriamente - Prova a toccarmi se ci riesci.
Xantyan si lanciò verso di lui: voleva mettergli le mani al collo, avrebbe voluto cancellarlo dalla sua vista, ma a pochi centimetri dal Sovrano qualcosa di invisibile lo scagliò lontano e lo fece cadere a terra.
Il Re lo guardava un po’ divertito.
Xantyan invece era furioso:
- Rimarrai imprigionato qua dentro, per sempre! - ghignò perfido.

INCOGNITO

Yma salì in macchina, il suo autista chiuse lo sportello, si mise al volante e partirono.
Yma era svogliata, un po’ malinconica, guardava fuori dal finestrino ben protetta dai suoi occhiali neri: neri gli occhiali e neri erano i suoi abiti.
L’autista sghignazzava; Sekh era il suo nome, avrebbe avuto un bel viso se non fosse stato per la dentatura: era inconsueta, i denti erano piccoli e di mercurio; scintillavano come i suoi occhiali a specchio che gli coprivano gran parte del viso.
I denti e gli occhiali erano le uniche cose non scure che indossava.
Anche lui era vestito di nero, come Yma, come tutti loro.
- Dove andiamo? - chiese Sekh voltandosi verso Yma
- Non fare domande stupide sai perfettamente dove dobbiamo andare! 
- Sei convinta della tua decisione?
- Tu sei convinto della tua?
- Io si - rispose lui alzando le spalle
- Ecco allora pensa per te!
- Guarda che dovremo lavorare insieme...
- È l’unica cosa che non mi fa stare tranquilla: averti fra i piedi!
Sekh sorrise ed azionò i tergicristalli.
- Ma che piove? - brontolò Yma - Io la pioggia proprio non la sopporto! -   sospirando aprì il finestrino e si affacciò fuori.
- Non t’inalberare - sorrise Sekh - sono poche gocce, smetterà subito.
L’auto a velocità moderata si avviò verso il parco di Takamatsu.

In pieno centro di Tokyo un piccolo gruppo di persone, si stava radunando alla fermata dell’autobus.
Ma non aspettavano l’autobus.
Anche loro erano vestiti di nero.
Anche loro avevano gli occhi coperti dagli occhiali:
occhiali neri impenetrabili ed occhiali a specchio luccicanti.
Scherzavano fra loro.
Ma nessun passante li notava.
Nessuno li vedeva.
Erano invisibili.
Erano visibili solo a pochi.
E vederli poteva non essere un buon segno.
- Quando andiamo? - disse Arthur, uno di loro
- Non ci possiamo muovere finché non arrivano tutti - rispose Elena
- Ecco Tonja!
Si unì a loro una ragazza molto allegra.
- Mancano ancora Yma ed Sekh - disse questa salutando tutti con abbracci e baci.

L’auto si spinse all’interno del parco.
Sekh parcheggiò nei pressi si un ruscello.
Sia lui che Yma scesero dall’auto e aspettarono.

Un grosso cane dalla foltissima pelliccia bianca avanzò verso di loro;
si diresse verso Yma, come se la conoscesse già.
Yma sorridente lo accarezzò.
Un’aquila volò verso di lei, Yma la fece appollaiare sul suo braccio,
il cane tornò indietro.
Dai cespugli sbucò una donna vestita di un lungo abito bianco, sembrava una fata.
Sorridente si avvicinò, ma non tanto, a Yma e Sekh; l’aquila abbandonò Yma per  appollaiarsi sulla spalla della donna:
- Avete deciso di unirvi a noi? - disse questa sorridendo mentre grattava con la punta delle dita la testa del cane che la guardava.
- Si - rispose fiero Sekh
Yma annuì.
- I Sovrani sono felici di questa vostra decisione - continuò la donna.
Yma e Sekh provavano un misto di imbarazzo, senso di colpa e felicità confusi tra loro.
- Rinunciate ora e per sempre al vostro Re? - domandò loro la donna
I due risposero di si chinando il capo. 
- Siete certi di ciò che avete deciso?
Risposero nuovamente di si.
- Siete responsabili dei vostri pensieri e dei vostri sentimenti riguardo i Sovrani e riguardo il vostro Re? - continuò la donna con una dolcezza imbarazzante.
I due continuarono a rispondere di si chinando la testa.
- Ben tornati fra noi - sorrise la donna.
Yma e Sekh furono percorsi da un brivido: erano commossi ma anche spaventati. 
La donna consegnò loro un pugnale ed un foglio di carta bianca.
Sul foglio c’era uno scritto: qualcosa di  simile ad una poesia.
Il pugnale era una specie di piccola spada, simile ad una croce.
Yma nascose il pugnale sotto la sua giacca.
Sekh prese il foglio chiudendolo fra le mani.
La donna fece un inchino ai due e svanì nel nulla.
L’aquila volò via nascondendosi fra gli alberi.
Il cane si accucciò a terra fece un grande sbadiglio per poi sparire sotto gli occhi di Sekh ed Yma. 

Yma e Sekh si guardarono.
Dopo alcuni secondi di silenzio lasciarono andare il respiro (che fino ad allora era rimasto bloccato nei loro polmoni) come se si fossero liberati da un peso:
- E’ fatta - disse Sekh
- Gia... - mormorò Yma avviandosi verso un grazioso ponticello di legno.
I due si affacciarono e muti rimasero lì a guardare l’acqua scorrere sotto il ponte. Sekh prese il foglio e dopo aver letto ad alta voce ciò che vi era scritto, lo fece cadere in acqua, con lo sguardo seguì il foglio allontanarsi da loro, trascinato via dalla corrente, finchè non lo vide più.
- Da ora sarà tutto più difficile - disse Yma
- Si - rispose Sekh - ma abbiamo fatto la cosa giusta.
- Si - ripeté Yma - è l’unica cosa giusta che abbiamo fatto fino ad ora.
- Amici? - sorrise Sekh porgendole la mano
- Amici! - sorrise Yma stringendogli la mano.
Sekh avvicinò Yma a sé cingendole le spalle, così che lei appoggiò la testa sulla spalla di lui.
Restarono così a guardare il ruscello, poi ripresero l’auto e si diressero verso Tokyo per unirsi ai loro nuovi compagni, che li aspettavano alla fermata del bus.

- Sono arrivato in ritardo? - chiese Nicolas avvicinandosi 
- Chi manca ancora? - domandò Miranda
- Sekh e Yma... - disse Tonja
- Devono arrivare anche Louis e Gurth con Lomas - rispose Bezirk

- Vorremmo un tavolo per due - chiese un signore entrando in un ristorante
- Mi dispiace - rispose cortesemente la titolare del locale - abbiamo tutti posti occupati, dovreste avere la pazienza di aspettare, almeno, una buona mezzora.
- Perché? - insistette il signore - quel tavolo è libero!
- No è prenotato, mi dispiace.
- Torneremo più tardi.
- Terrò un tavolo per voi - sorrise la signora.
Detto questo, la titolare del locale si avvicinò al tavolo vuoto e disse:
- Fatevi vedere, così se quello tornerà non mi dirà che gli ho raccontato una balla.   
Gurth e Lomas erano seduti a quel tavolo; apparvero immediatamente.
La titolare del ristorante si sedette accanto a Gurth e, con un gesto affettuoso, gli spinse gli occhiali ancora più vicino al viso. Gurth sorrise.
- Ha il malumore - disse Lomas alla donna
- Che cosa è successo? - chiese lei a Gurth
- Vorrei cambiare mansione - rispose Gurth - voglio parlare con il Re e chiedergli di fami fare altro, non sono più adatto a questo lavoro.
- Come mai? - domandò la donna
- Non credo di essere così neutro e così imparziale, mi immedesimo troppo in quello che vedo e spesso tendo a giustificare a cercare di capire...Per quello che dobbiamo fare noi non c’è né tempo né motivo di essere così sensibili.
- Non parlare con il Re - suggerì la donna - quando il Capo decide di farti fare una cosa, non cambia più idea. Con la Regina, è con lei che devi parlare.
- Ha ragione - intervenne Lomas.
- Vedrai che lei ti aiuterà - concluse la donna alzandosi dal suo posto - Mi devo allontanare - sussurrò ai due - io qui sarei una ristoratrice!
Tutti e tre sorrisero piuttosto divertiti dalla loro situazione.
- Sei sicuro di voler cambiare impiego? - domandò Lomas a Gurth - Fra tutti, noi siamo i più fortunati, siamo in una botte di ferro, guarda lei - indicò la donna, la titolare del ristorante - lei rischia di essere riconosciuta, e vulnerabile, noi dobbiamo solo eseguire, non siamo tenuti a scegliere o decidere...
- Solo? - disse Gurth - Solo eseguire? Per fare questo ci vuole un sangue freddo che io non ho più. Ad esempio guarda quelli - indicò un gruppo di persone ad un tavolo distante da loro - che ne dovrei fare di loro?
- Niente - rispose sicuro Lamas - hai degli ordini a riguardo?    
- No...Non lo so...E’ tutto così confuso... - sbuffò Gurth, poi gli venne da ridere - Una vacanza ecco cosa mi ci vorrebbe!
- Nessuno di noi è in vacanza - rise Lamas
La titolare del locale si avvicinò a Gurth:
- Ti porto un vassoietto di kanagashi, vedrai ti piaceranno - gli disse posando una mano  sulla spalla di lui - magari ti torna il buon umore.
- Dai dai! - rise Lamas scrollando Gurth - siamo fra i più fortunati!
Gurth mangiò con gusto i dolci, accompagnati da un buon tè, ed in effetti ammise di sentirsi un po’ più sollevato, ma non aveva cambiato idea:
- Parlerò con la Regina - ribadì alzandosi dalla sedia.
I due salutarono la loro amica.
Con una breve passeggiata a piedi raggiunsero loro compagni alla fermata dell’autobus.

Louis si trovava in metropolitana.
Seduto fra i passeggeri osservava da dietro gli occhiali i movimenti e le varie espressioni delle persone.
Ascoltava attentamente tutto ciò che dicevano, gli argomenti di cui parlavano.
Di fronte a lui due ragazze sfogliavano una rivista.
Una delle due ragazze si accorse della presenza di Louis, ma non gli diede importanza, continuò tranquillamente a parlare con la sua amica dell’articolo pubblicato sul giornale:
- Ne hai mai sentito parlare? - chiese alla sua amica
- No, mai - rispose questa
- Si dice che il buon Gesù non morì sulla croce ma si salvò, ed insieme alla Maddalena lasciò Gerusalemme, per vivere con lei il resto della sua vita...
- Che storia è!? - la sua amica era stranita dal racconto
- Pare che le loro tombe siano proprio qui in questo paesino francese - concluse l’altra
- Credi possa essere vero?
- Magari fosse vero! Forse qualcuno potrà prendersela a male, ma a me sembra una bella storia! - sorrise entusiasta
Louis la guardò e, grattandosi la testa, sorrise divertito dal discorso della ragazza.
- Dai alzati la prossima è la nostra - rise l’altra meno interessata all’argomento.
Louis seguì con lo sguardo la ragazza che lo aveva notato, anche lei lo guardò.
Appena le porte del vagone si richiuse, l’attenzione di Louis venne allertata dalle parole di un ragazzo molto molto giovane, che faceva conversazione attraverso il suo telefonino.
Sembrava parlare di cose banali, i soliti discorsi che si fanno tanto per parlare, ma non era così: Louis aveva la capacità di decifrare cosa si nascondeva dietro le parole, dietro il colore e le sfumature della voce.
Lui aveva la capacità di riconoscere chi era in realtà quel giovanotto.

Louis si alzò dal suo posto.
Il ragazzo lo vide: allarmato subito cercò una via d’uscita, ma ormai era spacciato.

Louis prese il pugnale che teneva nascosto sotto la giacca, lo impugnò e con un gesto determinato tagliò l’aria.
Ogni cosa che li circondava sparì, i due si ritrovarono in una dimensione sospesa, fuori dal tempo e dallo spazio.
Il ragazzo provò a fuggire, ma Louis gli saltò addosso e lo prese per i capelli.
Con il pugnale tagliò ancora l’aria.
Si formò un vortice bramoso, nero e viola.
Louis gettò il giovane nel vortice che lo ingoiò voracemente.

Immediatamente, intorno a Louis, tutto tornò come un attimo prima:
il vagone della metropolitana era stato occupato da un’orda di studenti che cantavano sventolando le bandierine con su scritto il nome della loro scuola.
Louis attraversò la banda canterina, uscì dal vagone, per risalire in superficie, da lì a poco arrivò alla fermata dell’autobus dove i suoi compagni lo stavano aspettando.

Questi lo salutarono con grande allegria, sembravano una comitiva pronta a partire per una gita.
- Maestà! - disse Miranda - Ci siamo tutti.
- Aspettiamo nuovi ordini - disse Arthur.

IL COMANDO

Sull’astronave c’era molto nervosismo.
Il Cielo era percorso da luci saettanti che inquinavano tutto ciò che avvicinavano.
In ogni luogo dell’Universo c’era una tensione e un’atmosfera malata, che si riverberava su se stessa creando vortici che ritornavano sull’astronave.
Echi di voci minacciose.
Strane polveri avvolgevano i pianeti e le Stelle modificandone l’aspetto, nascondendone la vera essenza.

Il Re diede il primo comando.
In una stanza dell’astronave, alcuni Principi aprirono le braccia con una mano rivolta verso l’alto e l’altra verso il basso:
all’unisono cominciarono a ruotare su loro stessi.
Una luce calda raggiante apparve fra le Stelle.

Il Re diede il secondo comando.
In un’altra stanza alcuni Principi iniziarono a cantare.
Melodie armoniose: cori e voci soliste, creavano ricami d’oro e d’argento che fluttuanti si avvicinarono alle Galassie.     
Una seconda luce apparve fra le Stelle.
Una luce che vibrava come pronta a muoversi.

La Regina entrò in una grande sala circolare, attese l’arrivo del Re.

Il Re entrò nella sala dove la Regina lo stava aspettando.

Il Re disegnò nell’aria i simboli dell’Alpha e dell’Omega.
La Regina si inginocchiò a terra:
sfiorando il pavimento con le dita disegnò un quadrato.
Sospesi in aria apparvero nella sala tutte le Stelle ed i Pianeti  dell’Universo.
- Chiamo a testimonianza il Sole e la Luna - disse il Re
- La Luna ed il Sole - disse la Regina
- Chiamo a testimonianza il Tempo - continuò il Re
- Il Tempo - ripeté la Regina
- L’Acqua
- L’Acqua
_ L’Aria
- L’Aria
- Il Fuoco
- Il Fuoco
- La Terra
- La Terra
Il Re diede il terzo comando.
Una terza luce apparve fra le Stelle.
Questa spinse violentemente in avanti le altre due.

Le tre luci iniziarono a correre nel Cielo.
Erano spaventosamente aggressive. 
Apparvero dei serpenti dal aspetto inquietante, simili a rivoli di sangue, che urlando contro le luci cercavano di colpirle.
Ma le tre luci passarono attraverso i serpenti spezzandoli in più parti,
proiettando le loro schegge nel Cielo che si sporcò di rosso. 
Il Cielo fu sconvolto da strilli graffianti e bagliori che esplodevano ingoiando le Stelle per poi risputarle fuori come fossero vomitate con disgusto.

L’astronave era scossa da tremori continui e fastidiosi, ma niente fermò il comando del Re: i Principi continuarono a ruotare su loro stessi, gli altri Principi continuarono a cantare, la Regina continuava a descrivere con i suoi gesti le parole del Sovrano: le tre luci che lui guidava, illuminarono il Cielo come tre Soli.

Il Cielo era illuminato a giorno da una luce bianca calda e abbagliante.

Un boato risuonò in tutte le Galassie.

Le assi di tutti i pianeti si spostarono, tornando in posizione verticale:
la posizione delle origini, quella che il Re e la Regina avevano disposto.

Gli animali, nei boschi, nelle città, nelle foreste iniziarono a correre.
Tutti gli uccelli, simultaneamente, si alzarono in volo.
Nel mare i pesci si spostarono in profondità, come in attesa di qualcosa.

Gli abitanti dei Pianeti impazzirono.
Anche i più pacifici si trasformarono in esseri brutali, violenti, bestiali.

Alcune città vennero stravolte da terremoti, altre da alluvioni.
L’acqua, la luce elettrica venne bruscamente interrotta.

Molti Principi uscirono dall’astronave piombando all’improvviso davanti agli abitanti delle Galassie generando stupore e panico.
Alcuni di questi reagirono a questa improvvisa apparizione con meraviglia.
Altri si sentirono sollevati.
Altri furono assaliti dal terrore.
Altri reagirono con violenza cercando di cacciarli via.  

Folte schiere di Principi atterrarono tra le automobili nelle strade trafficate, di  moderne città, creando scompiglio.
Molti uscirono dalle automobili sperando di poter fuggire a piedi.
Altri si affacciarono dai grattacieli.
Alcuni uscirono dai negozi.
I Principi, allora, piantarono con severità le loro spade a terra imponendo su di loro l’attenzione di tutti.
Alzarono le spade verso il Cielo.
Tutti i presenti alzarono la testa in quella direzione.
Il Cielo era percorso da nuvole velocissime, enormi.
Non sembravano più nuvole: le loro forme erano quelle di esseri mostruosi che sbraitavano deformando ancora di più il loro aspetto.

Il Principe a capo dell’esercito del Re e della Regina mise con le spalle al muro tutti coloro che riteneva nemici dei suoi Sovrani.
Entrò nelle case, dalle più nobili alle più umili.

Come accadde ad un gruppo di persone sorprese durante l’ora di cena.
Stavano festeggiando un compleanno.

Il Principe, in compagnia dei suoi soldati, come un lampo apparve di fronte alle persone che rimasero paralizzate, senza fiato.
I suoi soldati bloccarono tutte le vie di uscita della casa, mentre lui in persona
sguainò la spada puntandola, con fierezza, alla gola di uno dei tre uomini presenti, proprio il festeggiato:
- Decidi da che parte vuoi stare! - gli disse duramente il Principe.
Una donna perse i sensi, un bambino si mise a piangere, un ragazzo si avvicinò al Principe il quale gli sorrise con una dolcezza insospettabile.
Questo sorriso meravigliò un altro ragazzo presente che non capiva cosa stesse accadendo.
- Decidi chi vuoi essere! - strillò dinuovo il Principe spingendo la spada sul collo dell’uomo - Decidi! Ora!
L’uomo tremava, si guardava intorno.
Il Principe lo fissava con i suoi occhi tanto chiari da sembrare trasparenti:
occhi luminosi e belli, ma che potevano far paura:
- Ora! - tuonò il Principe battendo forte un piede a terra.

Il Re congiunse i palmi delle sue mani.
La Regina fece la stessa cosa.
Il Re si avvicinò alla Regina ed unì le sue mani con quelle di lei.

I Principi smisero di cantare.
Gli altri Principi completarono la loro rotazione adagiandosi a terra.

Le assi dei Pianeti tornarono inclinate.

I pesci tornarono a nuotare risalendo dalle profondità del mare.
Gli uccelli si posarono sugli alberi.
Gli animali nei boschi, nelle città e nelle foreste interruppero la loro corsa.

Le tre luci nel Cielo sparirono.
Le Galassie furono nuovamente ingoiate dal buio e dal freddo dello Spazio.

Tutto tornò come se nulla fosse accaduto.

Qualcuno pensò di aver fatto uno strano sogno.
Altri pensarono di aver fatto un incubo.
Molti non ricordarono assolutamente nulla.

Alcuni, da allora, provarono sensazioni indefinibili.
Sensazioni che cominciarono a coltivare dentro di loro qualcosa che ancora ignoravano.

GABRIEL E LA REGINA

Bussò comunque prima di entrare.
Non aspettò l’autorizzazione ma entrò sicuro di sé con il suo solito fare altero.
Fece un inchino appoggiando un ginocchio per terra.
- Mia Regina - disse, poi alzò lo sguardo e le sorrise.
- Gabriel! - esclamò la Regina - E’ sempre un emozione vederti!
Gabriel si avvicinò alla Regina che lo abbracciò:
- Che bello! - rideva lei - Finalmente sei venuto a trovarmi!
Era molto tempo che Gabriel non vedeva la Regina, e questo per lei era fonte di  grande dispiacere.
Erano sempre stati molto uniti e complici, ma negli ultimi tempi Gabriel si era allontanato da tutti delegando ai suoi subalterni ogni suo impegno.
- Consenti che sia io a pettinarti - disse lui sfiorando una ciocca dei capelli della Regina.
- Lasciateci soli - ordinò la Regina alle sue ancelle.
La Regina raramente scioglieva i suoi capelli che erano lunghissimi e molto folti.
Gabriel li spazzolò con cura e li raccolse in una acconciatura che decorò con piccole  pietre di Luna. Poi prese un velo e avvolse il viso e il collo della Regina abbracciandola affettuosamente, posando una guancia sulle spalle di lei.
- Adesso non esagerare - sorrise la Regina spostando il velo dal viso - velata si, ma non nascosta.
- Nascondere le donne dagli sguardi importuni - sorrise lui spiritosamente.
- Pensi davvero che le donne siano esseri così fragili?
- No non lo penso affatto, è dalla loro forza che devono essere protette: il nostro avversario ha paura di te, e farà in modo che tutte le donne siano ostacolate e relegate a ruoli secondari.
- Fino a farle sparire - concluse lei
- Ha paura della vita: si nutre di morte e di dolore, non sa fare altro ormai.
- Un vero illuso: l’allieva di Michael sta facendo un eccellente lavoro, lui ne è orgogliosissimo! Anche tu sarai orgoglioso della tua...
Gabriel chiuse gli occhi e il suo cuore cominciò a battere più forte:
- Io l’ho persa - Gabriel non sorrideva più.
Strinse ancora più forte la Regina fra le sue braccia, ma questa volta non era un segno d’affetto nei riguardi di lei, quanto la ricerca di un sostegno.       
- Non è così - la Regina si voltò verso di lui - perché insisti a dire queste cose?
- Perché è la verità! - rispose duramente.
Si allontanò dalla Regina che lo guardava smarrita: era preoccupata per lo stato d’animo rancoroso che Gabriel nutriva verso di lei ed il Re.  
In quel periodo Gabriel era ipersensibile, ogni emozione su di lui valeva mille volte di più che su ogni altra persona, e il dolore che provava era viscerale.
Tutto era iniziato quando il Re fece partire la sua allieva in missione come ogni  altro allievo degli altri Maestri.
Diversamente da tutti però Gabriel non fu avvisato della sua partenza, così che non gli fu possibile accompagnarla e tenere i contatti con lei per guidarla e proteggerla come invece le aveva promesso.
Per quelli come lui non poter mantenere le promesse era peggio di una dannazione. Ma c’era dell’altro.
- Sapete essere crudeli se volete! - continuò aspramente Gabriel
- Ti ho già spiegato come stanno le cose, non continuare a dare la colpa agli altri, quando la responsabilità è soltanto tua.
- Mia? Sono forse io a dare gli ordini qui?
- Ogni ordine del tuo Re ha motivo d’essere e lo devi accettare!
- Senza più poter discutere!?
- Potevi prestare attenzione ai tuoi sentimenti quando... 
- Basta basta! Non ne posso più di questi discorsi! Non li voglio ascoltare!
- E’ questo il tuo guaio: non vuoi ascoltare! Testardo e orgoglioso! Attento a non diventare superbo! Non sei più capace neanche di ascoltare te stesso!
- Il vostro è stato un comportamento da vigliacchi! - urlò Gabriel arrabbiato.
Allora la Regina diede un pesante schiaffo a Gabriel, che lo sorprese.
- Non alzare la voce con me! Io sono la Regina!
Mai fra loro due c’era stata tanta tensione.
- Ma perché mi parli così? - mormorò amareggiato.
- Perché non vuoi capire?
- Perché non posso starle vicino?
- Perché le hai permesso di allontanarsi da te?
Gli occhi di Gabriel si inumidirono di lacrime, ma lui trattenne il pianto indurendo i suoi lineamenti che invece erano belli e aggraziati. 
- Sembra che tu abbia dimenticato chi sei: che cos’è l’amore Gabriel?
Lui a quelle parole sbuffò alzando gli occhi seccato.
- Hai scoperto quanto tu l’amassi solo quando hai pensato di averla perduta, e per lei è stata la stessa cosa - poi sorrise - siete tanto diversi e tanto uguali voi due.
- Ogni punizione ha senso se ha un termine...
- Parli così ma tu stai disubbidendo al tuo Re - interruppe la Regina sorridendo  - sappiamo che in realtà la incontri piuttosto spesso...
- Nei sogni? - interruppe lui - Stai parlando dei sogni? Volete impedirmi anche questo? - Gabriel era spaventato - E’ l’unico modo che ho per non farmi dimenticare da lei.
- Non solo nei sogni, non credere di potermi beffare - sorrise la Regina - Pensi davvero che lei si possa dimenticare di te? Siete più uniti ora che siete lontani rispetto a quando passavate le intere giornate insieme.
- Io non riesco starle lontano... - Gabriel era sulle spine.
- Attento a non renderle la vita ancora più difficile con la tua presenza.
- Lei ha scelto di seguirmi ed io non la lascio da sola che il Re lo voglia o no! - Gabriel aveva ripreso il suo piglio sicuro e altezzoso.
- Puoi impedirle di condurre un’esistenza serena se sei troppo presente.
- Io sarò davanti a lei ad aprirle la strada: ogni cosa che la riguarderà dovrà prima fare i conti con me! - poi abbassò lo sguardo, stava per commuoversi ancora una volta - Perché lei è mia, soltanto mia - mormorò.
- Rischi di imprigionarla con il tuo amore.
- Sarò sempre con lei - ribadì con fermezza - E poi... - con voce più bassa e dolce guardando negli occhi la Regina concluse - E poi la riporterò da me.
- Perché hai lasciato che si allontanasse? - chiese la Regina accarezzandogli il viso
- Io volevo la sua felicità - questa volta Gabriel non trattenne le lacrime.
La Regina scosse la testa sorridendo:
- Riesci a capire cosa avete combinato?
Gabriel si allontanò dalla Regina avviandosi verso la parete di vetro della camera.
Guardando fuori lasciò andare un lungo sospiro che lo fece piombare in una tristezza che sembrava soffocarlo. Appoggiò le mani sul vetro.
La Regina si avvicinò a lui.
- Dov’è la nostra casa? - mormorò Gabriel guardando il tramonto di Giove - Dove è stata nascosta? - chiese voltandosi verso la Regina.
- Sarà la vostra nostalgia a farvi ritrovare.
Gabriel ascoltava la Regina attento e serio.
- Se sei stato allontanato da lei è perché è da lei che devi tornare, sarà proprio la distanza, che ora non sopporti, che vi permetterà di riunirvi.
Gabriel sorrise con sarcasmo.
- Non sei ancora convinto - sorrise la Regina
- Io la voglio con me - ribadì serio - vorrei non essere mai stato il suo Maestro, vorrei non averla mai addestrata, vorrei non fosse mai partita, vorrei poterla riportare qui subito, ora, adesso, per non lasciarla più.
- Vorrei che tu ritrovassi la pace - disse la Regina stringendogli una mano - lascia
che le cose procedano senza forzare...
- Il destino...E’ possibile che fosse stato già deciso tutto: un errore giustificato dall’amore ha potuto scatenare tutto questo...
- Ora non annegare nei sensi di colpa!
Gabriel sorrise ancora e tirò a sé la Regina stringendola forte: era smanioso, attraversato e scosso dal rimpianto, apriva e chiudeva gli occhi lasciando andare lunghi sospiri che tradivano uno sforzo esagerato per mantenere la calma; ma per quanto si sforzasse non riusciva a trattenere le lacrime.
- Io la voglio qui con me - mormorò 
La Regina lo guardava con tenerezza.
- Mi manca così tanto - le disse con un filo di voce.
- Senza volerlo hai facilitato il piano del nostro nemico. Ora tu, che sei il Principe più ammirato da tutti, sei anche il più infelice.
- Ti prego tu sei l’unica che può fare qualcosa per noi - insistette Gabriel - non
lasciarci così lontani...
- Non siete lontani.
Gabriel lasciò andare un lungo sospiro chiudendo gli occhi, la Regina gli accarezzò i capelli; lui la guardò ancora con il suo sguardo profondo ed intenso, poi notò un violoncello nella camera:    
- Stai imparando a suonare? - le chiese avviandosi verso lo strumento
- No ho sperato che fossi tu a suonare per me.
Gabriel si sedette e cominciò ad accordare il violoncello.
Eseguì una melodia dolcissima ed armoniosa che si diffuse per tutta l’astronave come un vento invisibile e seducente.
Tutti ascoltarono coinvolti la sua musica, ma fu quando Gabriel iniziò a cantare che molti si commossero unendosi alla sua voce.
Gabriel cantò parole che uscirono da sole senza neanche pensare a quello che diceva:

Ascoltami sto arrivando
Sentimi sto venendo da te
Dimmi che sono necessario
Dimmi che non puoi vivere senza di me
Ed io attraverserò il fuoco: per avvolgerti con le mie ali
Senti il mio respiro
Segui il mio profumo
Dimmi che non hai dimenticato il mio nome
E  io non ascolterò nessuno: pur di raggiungerti
Mio solo unico Amore

Il canto di Gabriel oltrepassò le pareti dell’astronave, scivolò fra le Stelle.
Perforò l’atmosfera del pianeta Terra, s’insinuò tra le strade di Bastia, in Corsica, in una mattina di un inverno gelido e piovoso, ed insieme alle voci che si unirono a lui, raggiunse la sua allieva, che lui tanto amava.
Lei era da sola: passeggiava annoiata ed infreddolita, fra le bancarelle del mercato di quella città corsa.
Si sentì stringere in un abbraccio morbido e sensuale.
Spostò l’ombrello ed alzò lo sguardo verso il Cielo, lasciando che la pioggia le bagnasse il viso.
Una voce le sussurrava all’orecchio.
Riconobbe il canto Gabriel:
si abbandonò alla sua voce ed alla sua presa che la rapì.
Un uomo la chiamò:
- Ehi Principessa! Ehi dico a te!
Lei si voltò divertita: chi poteva chiamarla così?
Era il fioraio che si avvicinò a lei e le diede un forte ceffone sulla testa:
- Così impari a stare più attenta! - la rimproverò. 
Lei rimase sbalordita, non sapeva se arrabbiarsi o mettersi a ridere.
Si mise a ridere.
Anche un nano, che passava tra le bancarelle per pubblicizzare il suo Circo, si avvicinò a lei; invece di consegnarle il volantino del Circo le offrì dei fiori:
- Gelsomini! - esclamò felice lei
- Non siete così lontani se tu davvero lo vuoi - le disse il nano
Il canto svanì e lei tornò a guardare il cielo.
  
Gabriel terminò la sua esecuzione, appoggiò la fronte sul violoncello.
Cercava la sua allieva in ogni cosa gli fosse accanto e la sua sofferenza aumentava ogni volta che si rendeva conto che lei non si trovava vicino a lui.
Alzò lo sguardo verso la Regina:
- Aiutaci ti prego - mormorò attraversato dalla malinconia.
- Non avere paura - sorrise la Regina - siete destinati a ritrovarvi.
Gabriel si allontanò dal violoncello e s’inchinò davanti a lei per salutarla.
La Regina si abbassò all’altezza di lui prendendogli il viso fra le mai sorridendo:
- Ricordati che tu sei Gabriel.   

FINE

Copyright Katya Sanna 2002