Cap 14: LA BALLADE DE LA EPOUX GUERRIER - LA BALLATA DELLA SPOSA GUERRIERA


LA BALLADE DE LA EPOUX GUERRIER
LA BALLATA DELLA SPOSA GUERRIERA

- Uriel, mi riesci a sentire? Dimmi di si...
- Si parla pure
- Sono appena arrivata
- Hai trovato un alloggio?
- Si è un’associazione benefica che mi ospita, non sembra male
- Io stò cercando di attivare uno schermo per riuscire a vederti finalmente!
- Che schermo?
- Qui abbiamo una sala che non siamo ancora riusciti ad utilizzare. E’ un anfiteatro con uno schermo tridimensionale da cui potremmo seguire voi che siete lontani più direttamente e tutti insieme. Ma quel diavolo di Xantyan è riuscito a danneggiare anche queste apparecchiature, e io mi sto dannando per rimetterle in funzione! Ma dimmi di te: come stai?
- Non so cosa dirti...Ora sto camminando lungo una strada piena di palazzi disabitati, è tutto molto squallido. Quello che ho visto dalla nave prima di atterrare è ancora meno incoraggiante: solo deserto e qualche città sparuta...Quando potrò tornare da voi?
- Non mi fare domande come questa...Si sente la tua assenza, ci manchi da morire!
- Ma tu senti solo la mia voce? Non riesci a vedere proprio niente?
- Adesso non vedo niente, a volte le immagini arrivano ad intermittenza. Tranquilla: quelle che ci invii tu sono perfette.  
Neanche a dirlo pochi istanti dopo anche la voce di Alice cominciò ad essere disturbata fino a sparire del tutto.

Alice si trovava, su ICA, un grosso pianeta ai confini con il Sistema Solare.
Su quel pianeta Xantyan aveva sfogato tutta la sua perfidia, se possibile più che su ogni altro luogo da lui occupato.
Era lì che voleva stabilire la sua nuova casa per abbandonare definitivamente quella in cui si era rinchiuso da quando ci aveva lasciato.
La prima cosa che fece fu cancellare ICA dalla vista di qualsiasi essere vivente o strumento di navigazione spaziale, in breve:
ICA non esisteva per nessuno, anzi non era mai esistito.
Tutta la tecnologia sviluppata dagli abitanti originari venne distrutta, tanto da farli vivere senza neanche i vetri alle finestre.
Le milizie di Xantyan controllavano ogni cosa con ronde assillanti.
La popolazione era ormai allo stremo: nessun mezzo di trasporto, nessun mezzo di comunicazione, ma soprattutto niente acqua.
Le sorgenti ed i laghi, nei casi migliori, erano stati avvelenati, le altre fonti furono completamente prosciugate.
Quello che fino a poco tempo prima era uno dei pianeti più belli della galassia, divenne una distesa di sabbia e sassi. 
Ad aiutare questo sfortunato pianeta fu il Principato di Falbash.
Da Falbash arrivavano grossi quantitativi d’acqua che venivano clandestinamente distribuiti ai villaggi.
             
Per diversi giorni Alice girò nella città facendo ritorno al suo alloggio solo di sera.
Il suo comportamento non piacque a nessuno dei gestori del centro di accoglienza in cui aveva trovato ospitalità.
Ancora meno al direttore, che non si allontanava mai dal suo posto di lavoro.
Era piuttosto risentito con lei. La convocò per un colloquio.
Alice entrò nell’ufficio e si trovò di fronte un medico anziano, robusto, con i capelli e la barba bianchi.
- Non è un albergo - le disse severamente - se vuoi essere ospitata devi anche renderti utile, io non so come passi il tuo tempo fuori da qui e neanche mi interessa, ma come tutti gli altri devi collaborare alle nostre attività.
- Cosa devo fare? - chiese Alice senza scomporsi.
L’uomo abbassò gli occhiali, osservò Alice con uno sguardo ironico quasi paterno e sorrise:
- Per prima cosa nascondi bene il ciondolo che porti al collo, se non vuoi essere riconosciuta, come l’ho visto io lo possono vedere anche i nostri nemici.
Alice stupita portò una mano sul medaglione e lo nascose subito all’interno del vestito.  
- Tu sei Alice non è vero?
Alice perplessa non rispose.
- Tu devi essere quella che aspettavamo: è Gabriel che ti ha addestrato, no? Il fiore che porti al collo è suo, anche se sono qua da troppo tempo, non posso sbagliarmi.
Alice annuì un po’ intimidita, era la prima volta che qualcuno la riconosceva.
- Hai incontrato Jeanne?
- No, non so neppure chi sia
- E’ una guerriera come te, ma del Clan di Michael è strano che non vi siate incontrate...
L’uomo si alzò e le andò incontro amichevolmente stringendole le mani nelle sue:
- Il mio nome è Antor, sono del Clan di Raphael.
Alice ebbe la sensazione di aver trovato un parente; si sentì sollevata, e non le balenò minimamente l’idea che potesse trovarsi di fronte ad un possibile trucco dei seguaci di Xantyan.  
- Amica mia, siamo nella tana del lupo - le disse Antor spostando la tenda della finestra e guardando la strada invasa dai soldati.
- Xantyan è appena arrivato su questo pianeta, le legioni di Michael ogni notte sorvolano il cielo per trovare il momento di attaccare, i sotterranei di questa città sono saturi di rifugiati. Tu ci devi aiutare  a mantenere i legami con i nostri alleati.
- Cosa posso fare?
- Farai da staffetta. Ti darò del materiale da consegnare: acqua e le medicine per curare tutti quelli che si sono nascosti. Raphael sta’ impazzendo per permettermi di lavorare nelle condizioni in cui siamo...Ma noi dobbiamo vincere!
Antor accompagnò Alice nelle cantine del palazzo, aprì una porta e continuarono a scendere per infilarsi in un tunnel buio e maleodorante.
- Siamo nelle fogne della città - disse Antor - qua nascondiamo l’acqua che arriva da Falbash e tutto il materiale che Raphael riesce a farci avere, ma è poca cosa. Siamo costretti a lavorare come se fossimo tornati indietro di mille anni!
Nel tunnel erano stipati imballaggi di varie misure. Alcuni scatoloni erano aperti e rivelavano il loro contenuto: materiale ospedaliero, molte medicine.
Ciò che amareggiava di più Antor era l’assenza di protesi evolute:
- Ormai se una persona perde un arto rimane handicappato per il resto dei suoi giorni, quando è fortunato riusciamo a malapena a riattaccarlo, ma non siamo più in grado di restituirgli la funzionalità...Una vera tragedia...   
Il discorso fu interrotto da un boato.
- Deve essere stato abbattuto un altro palazzo - disse Antor
- Vogliono radere al suolo qualunque cosa - intervenne Alice
- Xantyan ha ordinato che nessuno degli abitanti originari di questo pianeta rimanga vivo, molti sono riusciti a fuggire sulla Terra, ma anche lì le cose non vanno meglio.

Io intanto continuavo a perdere la mia salute dietro lo schermo tridimensionale. Mi ero messo in testa che sarei riuscito a farlo funzionare, non riuscivo a staccarmi da quell’impegno!
Non avevo più il senso del tempo, notte e giorno erano un tutt’uno.
Quelli del mio Clan cercavano di darmi una mano, ma i miei ritmi erano talmente forsennati che chiunque aveva difficoltà a seguirmi.
Fortunatamente non rimasi proprio da solo.   
Gabriel era con me, mi aiutava alleggerendo notevolmente lo stress.
Era un ottimo compagno di lavoro, scrupoloso, attento...
Anche a dirlo mi fa una certa impressione: avevo Gabriel per assistente!  
- Senti niente? - gli chiesi.
Lui scosse la testa e si appoggiò alla balaustra.
- Nemmeno un suono, una piccola immagine niente! - esclamai deluso.
Mi sdraiai a terra, con lo sguardo fisso al soffitto.
Gabriel mi guardava dalla parte più alta dell’anfiteatro.
Non sembrava particolarmente preoccupato da tutti i nostri fallimenti.
Lo vidi scendere.
Arrivato vicino al palco si sedette in platea allungando le gambe sulla poltrona che aveva davanti, prese gli appunti, che lui stesso teneva per aggiornare il nostro operato, e li rilesse ad alta voce.
Io ascoltai bene.
- Strappa tutto - dissi sedendomi sul palco a gambe incrociate - butta quei fogli non servono a niente! - ero nervoso ed esausto - C’è poco da studiare: dobbiamo ricominciare da capo!
Gabriel senza battere ciglio accartocciò i fogli e li gettò via.     
Mi rialzai stiracchiandomi bene bene e tornai al mio lavoro.
Non so quanto tempo passò ma ad un certo punto mi accorsi che Gabriel mi stava chiamando:
- Vedo delle ombre.
Io corsi sul palco tutto eccitato.
- Dici davvero?
Gabriel mi indicò il punto.
Effettivamente si intravedevano delle figure non chiarissime, anzi a dire il vero non si vedeva quasi niente, ma a me sembrava di assistere ad un miracolo.
- Forse ce la facciamo! - esclamai.
Le ombre sparirono dopo pochissimo, ma ormai ero convinto che avrei risolto tutti i problemi da lì a poco.
Improvvisamente il silenzio venne disturbato da scricchiolii e fruscii piuttosto fastidiosi.
Poi, un colpo secco come uno sparo.
Io tornai vicino a Gabriel ed ascoltammo insieme:
- Sembrano dei rumori d’ambiente - disse lui
- Sembra anche a me...Pare vento...
Era vento. Eravamo entrati in comunicazione con un luogo aperto.
Io ero talmente emozionato che avevo paura a  parlare.
Ero terrorizzato dall’idea di perdere quel poco che avevamo ottenuto. 
Mi lanciai:
- Alice mi senti?
Nulla di fatto. Ritentai:
- Alice? Rispondimi...
Niente. Provai di nuovo. Ancora silenzio. Tentai un’altra volta:
- Sono Uriel!
- Ah! Era ora che ti facessi vivo! Cosa devo fare: una seduta spiritica per parlare con te?
Io e Gabriel eravamo al settimo cielo, quella era la voce della nostra Principessa!
- Dove sei? - le chiesi
- Nel deserto, in compagnia di Manuel...Manuel tu senti la voce di Uriel?
- No - rispose lui
- Noi si! - esclamai felice
- Uriel - disse Alice - io sento solo al tua voce. 
Gabriel mi guardò in silenzio aspettando una mia risposta.
- Tu puoi sentire solo me perché è con me che sei collegata, ma quando parli la tua voce è così nitida che sembra di averti vicina! Presto riusciremo anche a vederti, ne sono convinto!   
- Manuel è un medico del centro che mi ospita - continuò Alice - l’ho conosciuto ieri. Oggi mi ha portato nel deserto. C’è un grosso edificio in lamiera dove Raphael fa arrivare le medicine che Antor gli chiede.
- Ora tu dovresti portarle al rifugio di Kark - intervenne Maunuel
- Cos’è Kark? - domandai
- Cos’è Kark? - chiese Alice a Maunel
- Un villaggio a 400 Gerr da qui - rispose Manuel.
Alice fece silenzio. Realizzò che 400 Gerr erano una distanza spropositata ed esclamò:
- Come ci vado fino a Kark?
- Sai pilotare un Jiop?
- Un che?!  
- Quello lì - le indicò Manuel.
Alice vide una cosa che già conosceva:
- E’ una tua invenzione Uriel!
Alice salì sul Jiop.
- Con questo comando parti e con questo ti fermi, non è difficile - disse Manuel con naturalezza - devi solo stare attenta a non avvicinarti troppo a terra, altrimenti potresti cadere.
Si trattava della macchina che Michael e Gabriel si erano divertiti a collaudare.
Manuel caricò il materiale da consegnare su un apposito vano posteriore del Jiop.
Alice partì.
Partì anche un urlo da parte sua perché la velocità di quel mezzo era notevole.
Io e Gabriel sentivamo le sue urla e diversi colpi.
- Devi decollare sei troppo bassa - le suggerii
- Fai silenzio! - mi urlò lei - Che razza di affare ti sei inventato?       
- Basta fare un pò di pratica, vedrai che è divertente - dissi io ridendo.
Sentimmo una serie di colpi e strusciate preoccupanti, poi intuimmo che Alice aveva capito come guidare il mezzo perché il suono che arrivava era pulito e lineare.
Poco dopo però ci fu un chiasso assordante:
colpi su colpi e il frastuono di qualcosa che stava rotolando.
- Deve essere caduta - disse Gabriel
- Ti sei fatta male? - le domandai
Alice non rispose, io continuai a chiamarla.
- Dimmi un po’ - disse risoluta - ma non potevi regolare la velocità di questo coso?
Io e Gabriel ridemmo.
- Come avresti fatto a raggiungere Kark in così poco tempo?
- Non c’è nessuno però - rispose lei.
Alice continuò a piedi, con uno scatolone ingombrante e pesante sulla schiena, in direzione di un’altra costruzione in lamiera.
All’ingresso dell’edificio trovò una donna senza denti e senza gambe su una sedia a rotelle che la invitò ad entrare con un sorriso dolce.
La signora era magrissima con la pelle che sembrava bruciata dal Sole, molto rugosa. Era da sola fra scatole e imballaggi di varie dimensioni in pieno deserto.
- Lascia il tuo carico - le disse la signora - vai subito via se non vuoi che ci scoprano.
Alice rimase scioccata nel vedere una povera donna così mal ridotta, sola, in un luogo tanto desolante.
- Perché non vai a chiamare il Re, così lo informiamo... - cercai di dire a Gabriel, ma lui mi interruppe risentito:
- Vuoi che non sappia quello che stiamo facendo? Vedrai fra un pò verrà lui stesso a trovarci.
Alice  si era avviata verso il Jiop. Proprio mentre stava risalendo sul mezzo pronta a ripartire io la bloccai, il nostro Re era appena entrato nella sala:
- Aspetta c’è il Re qui con noi
- Con te si che può parlare - disse Gabriel seccato al Sovrano.
Il Re soffriva del risentimento che Gabriel nutriva nei suoi confronti, ma cercò non dare peso alle sue parole:   
- Alice come stai?  
Alice riconobbe immediatamente la voce del Re, ma non fu nè emozionata nè intenerita, dalla dolcezza con cui lui le si era rivolto, anzi lo travolse con uno sfogo che sembrava aver covato per l’occasione:
- Ehi Capo! - esordì Alice - Mi spieghi che cosa mi stai facendo fare? Mi hai sbattuto in giro per l’Universo a prendere appunti come se dovessi studiare degli animali da laboratorio. Sono sempre sola, nessuno si fida di me. Mi sposto continuamente. Non ho il tempo di affezionarmi a niente e a nessuno. Nessuno può sapere chi sono da dove vengo, nemmeno io so più se ha un senso tutto questo. Tu mi stai tenendo nascosto qualcosa e io sono qua in mezzo ai pazzi! 
Il Re non riuscì ad intervenire. Alice lo tramortì.
Io ero decisamente imbarazzato dalla sua assoluta mancanza di considerazione verso il nostro Sovrano; Gabriel invece rideva divertito e orgoglioso del temperamento che Alice dimostrava di avere:
- Se poi speri che io possa indicarti la possibilità di salvare qualcosa in tutto quello che ho visto finora, te lo dico chiaramente: hai sbagliato soggetto! - continuava senza sosta - Fosse per me lascerei tutti cuocere nel loro brodo e me ne tornerei indietro. Ma non si può non è vero? Devo aspettare che sia tu a darmi l’ordine per tornare. Beh! Io sono stanca! Appena tutto questo finirà non parlarmi più di luoghi da visionare o gente da descrivere. Se ti piace tanto guardare come si vive nel mondo, allora vieni tu quaggiù e poi fammi sapere se ti sei divertito! Il resto te lo dirò quando finalmente avrò il piacere di poterti parlare di persona! Dovrà pur arrivare quel giorno! - concluse risalendo sul Jiop.
Senza aspettare che il Re potesse replicare accese il mezzo e volò via.
Anche la comunicazione con lei si interruppe.
Il Re sorrise:
- Che grinta però! E’ una ribelle! - disse a me
- Una dissidente! - sorrise sarcastico Gabriel - Te le ha cantate!
- Devi essere orgoglioso della tua allieva - gli disse il Re
- Non è più la mia allieva - rispose duramente Gabriel facendosi serio.
Gabriel non perdeva occasione per ricordare al Re in che modo fosse stato separato da Alice.
Il Re aveva serie difficoltà a parlare con lui, ma anche quella volta tentò:
- Non riesco a sopportare il tuo astio, io voglio al tua stima non i tuoi rimproveri.
Il Re era amareggiato, ma si rivolgeva a mio fratello sempre in modo pacato e gentile.  
Gabriel al contrario aveva uno sguardo duro senza cedimenti:
- Sto aspettando da troppo tempo le tue risposte - brontolò - e non riempirmi le orecchie con discorsi sui sentimenti o sul destino perché non ho voglia di ascoltare queste cose!   
- Credi sia facile per me...
- Allora parla! - tuonò arrabbiato Gabriel - Non nasconderti dietro teoremi indecifrabili! Io voglio sapere perché, non mi è permesso comunicare con lei! Questa è una punizione non una missione! Se abbiamo sbagliato qualcosa, credo che possa bastare...
Gabriel interruppe suo discorso, abbassò lo sguardo strizzando gli occhi.
Era agitato, continuò a guardare il Re ancora più severamente di prima:
- Lasciamo stare - disse infine più calmo - questo discorso è senza via d’uscita.
Io ero a disagio, mi sentivo coinvolto mio malgrado.
Ero anche a disagio perché lo stesso Re sembrava oppresso dai suoi segreti.
Avrei voluto che il tempo tornasse indietro, a quando vivevamo nella nostra città, al giorno in cui Gabriel e Alice si conobbero e dare un’altra direzione a tutta la storia. 
Il Re si chinò all’altezza delle poltrone dove Gabriel era seduto, gli posò una mano sulla spalla; sembrava che stesse per parlare, ma non disse niente.
Si alzò senza staccare lo sguardo da Gabriel, ci salutò ed andò via.     

Alice percorreva il tunnel delle fognature.
Si sentivano lamenti provenire dal fondo.
Camminava inciampando tra sporcizia e vestiti abbandonati.
Ormai si era abituata, ma non era bello lo spettacolo che vedeva ai suoi piedi:
sul pavimento erano accatastati cadaveri destinati ad essere bruciati, per non diffondere altre malattie.
Xantyan per accellerare il suo progetto fece sviluppare un virus che in pochi giorni sterminò interi villaggi.
Raphael aveva trovato il vaccino ed Alice lo stava portando a Manuel.  
Manuel lavorava in segreto in un piccolo laboratorio male illuminato.
I suoi pazienti si accalcavano fin all’interno. Decine di metri occupati da povera gente che piangeva, molti i mutilati, bambini rimasti soli.
I malati erano troppi e le medicine mai abbastanza.
- Non si può! Non si può! - strillava Manuel gettando all’aria tubi e siringhe - Guarda come siamo ridotti!
- Io non saprei dove mettere le mani - disse sconsolata Alice
- Cosa possiamo fare? Li lasciamo morire? Sarebbe il male minore! Guardali - disse indicando la gente - sono destinati a morte certa o ad una vita di privazioni! Un tempo eravamo in grado di ricostruire tutti i tessuti, non esistevano malattie, la sofferenza era sconosciuta...Guarda ora!
Manuel si lasciò cadere su una sedia portando le mani sulla testa.
Alice si sentiva inadeguata quasi d’impiccio in una situazione del genere. Guardava Manuel disperarsi, ma non sapeva cosa fare.
Così raccolse tutte le cose che erano finite per terra, cercando di ordinare almeno l’ambiente, visto che i pensieri sembravano aver perso ogni punto di riferimento.
- Grazie Alice - sorrise Manuel.
Un’esplosione. Si scatenò il panico.
Tutti iniziarono ad urlare, un uomo si alzò in piedi si lanciò nel laboratorio.
Con una velocità incontrollabile, rubò un bisturi, Alice e Manuel non riuscirono a fermarlo, pugnalò quelli che trovò vicino a lui, infine uccise se stesso.
Fece una vera strage in una manciata di secondi.        
Alice tornò in superficie per riferire al direttore dell’accaduto.
Antor scese immediatamente nei sotterranei cercando di  tranquillizzare i suoi pazienti.
Una giornata triste, la più brutta che Alice ricordi del suo soggiorno su ICA.

Era già buio Antor e Alice si avvicinarono alla finestra per guardare fuori:
non c’era nessuno, la guerra era in cielo.
- Michael sta spingendo i nemici alla ritirata - disse Antor.
Alice guardava le esplosioni illuminare la città; provò una forte emozione nel distinguere i guerrieri di Michael fra quelli di Xantyan.
- A volte ho la sensazione che la vita che conducevo prima sia stata solo un sogno, che l’ho inventata io, e che non esista nessun Re, nessuna Regina, nessun Principe, nessuna Città d’Oro...Poi vedo Michael lassù...
- Capita a tutti - la consolò Antor - più si rimane lontani più ci si dimentica della nostra Corte.
- Io non voglio che mi accada questo!
- Non accadrà - le sorrise.   
Alice tornò ad osservare la battaglia, poi si ricordò di una domanda che avrebbe voluto fare da tempo ad Antor:
- Mi hai accennato di una certa Jeanne. Chi è, e perché la debbo incontrare?
- Jeanne è una guerriera del Clan di Michael addestrata proprio da lui. E’ arrivata qui poco prima di te. Anche lei è stata ospite di questo centro...
- Ma cosa fa? - domandava curiosa
- Ostacola i nemici, attraverso l’utilizzo dei simboli. Michael le ha dato lo scudo, che tu non hai. Lui in persona la segue, come Raphael fa con me. Jeanne sta’ ricostruendo un percorso che tutti i viaggiatori come te devono seguire - poi sorrise con soddisfazione - a Xantyan non va’ molto a genio questa cosa...
- Quale percorso? - Alice aveva fretta di sapere
- Il tuo, il nostro. Tu credi di essere da sola, in realtà siamo molti, ma isolati. E’ Jeanne a darci le indicazioni per ritrovarci tutti... 
- Antor - rise Alice - questi discorsi mi fanno girare la testa!

La nostra Principessa ormai non faceva altro che svolazzare con il Jiop per trasportare pacchi, taniche d’acqua e lettere, coprendo distanze enormi.
Credeva molto nell’impegno che aveva preso con Antor e Manuel.
Era un compito pericoloso, ma lei non aveva mai paura.
Io avevo la sensazione che Alice mettesse tanto zelo in questa operazione, per non dare alla sua testa il tempo di pensare.
Dalle relazioni che ci inviava emergeva un’inquietudine e un malessere crescente che preoccupava molto Gabriel, ma anche tutti noi.

Era appena tornata da Antor con materiale recuperato dopo tre giorni di ricerca, fra villaggi e città isolate nel deserto.
Gli chiese l’autorizzazione per fare una passeggiata nella città.
Voleva avere la libertà di vivere come un abitante qualunque.
Antor la lasciò uscire. Alice scappò via senza neanche posare lo zaino dove teneva le poche cose che aveva. 
Così Alice ebbe il suo primo giorno di vacanza dalla sua nuova vita..
Cercò di non osservare le cose che la circondavano con il solito sguardo indagatore, e di non preoccuparsi di come redarre le sue relazioni.
Entrò in un negozio e comprò addirittura un vestito molto grazioso:
di seta azzurro con fiorellini ricamati.
Le piacque così tanto che lo indossò subito.
La commessa della Boutique la guardò un pò divertita.
L’aspetto di Alice le sembrava stravagante.
Il vestito le stava molto bene, ma la commessa sottolineò che avrebbe dovuto indossare delle scarpe adeguate e non gli stivaloni neri tutti impolverati.
Non era sbagliato, sottolineò la commessa, anche dare una pettinata ai capelli, che parevano la criniera di un cavallo pazzo.
Alice non le diede ascolto, uscì dal negozio e si andò a sedere sulla fontana di una piazza poco lontana.             
Restò lì da sola a giocherellare con l’acqua.
Non c’era niente intorno a lei che ricordasse di essere in guerra.
Era un giorno di Sole e tutto sembrava sereno. 
Per la prima volta si sentì libera da quello che lei definiva un destino opprimente, a cui non riusciva a dare un senso.
Una ragazza si sedette accanto a lei e le offrì un pasticcino. Alice rifiutò.
La ragazza mangiava con gusto e sembrava simpatica.
Insistette che Alice ne assaggiasse almeno una metà, ma Alice tornò a dire di no.
- Io ne mangerei a dozzine! - rise la sconosciuta - Se proprio devo dirla tutta io mangerei continuamente! Vedi là? Cucinano dei manicaretti da perdere la testa! Mentre se vai dietro quella traversa c’è la pasticceria migliore della città. Prima che scoppiasse la guerra, dovevi fare una fila di quasi due ore per entrare...Oh! Tu non parli mai? Non mangi, non parli: cosa sei un androide?            
Alice si mise a ridere:
- E’ possibile che sia diventata un androide!
- Io lo so chi sei, è un po’ che ti cerco.
Alice si chiuse a riccio, l’idea che qualcuno la riconoscesse le faceva piacere ma la spaventava anche.
- Tu sei Alice la sposa di Hal. Non dirmi che non è vero. Ho intravisto il medaglione con i petali del gelsomino.
- Tu chi sei?
- Io sono Jeanne, allieva di Michael. Noi ci dovevamo incontrare già da un pezzo. Per caso ti ho vista oggi, e per fortuna direi, io domani lascio questo pianeta. Devi ringraziare quel fiore che porti al collo altrimenti ci saremmo perse!
Alice studiava attentamente la ragazza che aveva di fronte:
capelli e occhi neri, pelle chiara e lentiggini, molto simpatica.
Corrispondeva perfettamente alla descrizione che Antor aveva fatto di Jeanne. Cos’era allora che non la convinceva?
- Temo che tu sia in ritardo sulla tabella di marcia - disse Jeanne leccandosi le dita per non perdere la crema che era uscita dal pasticcino - cavolo! Sono davvero felice di conoscerti! Sei famosa lo sai?
- Per cosa sono famosa?
- Per il tuo matrimonio con Hal! Michael era contrario anzi è convinto che il tuo sposo ti abbia contaminato
- Non credo proprio! - rispose risoluta Alice
- Non ti vorrei mettere ansia addosso, però tu sei in ritardo dovresti essere sulla Terra e invece sei ancora su ICA. Io mi preoccuperei - Jeanne si fermò poi riprese - senti: abito qui vicino, se qualcosa ti stà ostacolando io posso allontanarlo da te. Michael mi ha insegnato a combattere Xantyan attraverso i simboli. Perché non vieni?
Alice era un po’ perplessa ma decise di seguirla.
Jeanne fu così gentile da portarle addirittura lo zaino:
- Ehi! Cosa ci tieni? - esclamò portandolo sulle spalle - Ti porti dietro tutta la casa quando esci?
- Sono appena tornata da un breve viaggio
- Ah! Gia! I tuoi viaggi, hai anche l’aspetto di una nomade.
Jeanne abitava in un appartamento di due camere al secondo piano in un palazzo abbandonato molto vicino a dove abitava Alice.
- Mi sto preparando per la partenza e ancora devo fare i bagagli! Guarda che disordine!
Le offrì ancora da mangiare, da bere, ma Alice rifiutava sempre.
Si guardava intorno, continuava a non essere del tutto convinta riguardo a tutta quella situazione.
- Vieni sdraiati, facciamo subito - la invitò Jeanne.
Alice si sdraiò su un letto.
- Chiudi gli occhi e rilassati, non c’è nessun pericolo.
Alice chiuse gli occhi.
Jeanne premette le sue mani sulla fronte, dietro la nuca, sulle spalle, sul cuore, sui polsi, sulle ginocchia e sulle caviglie di Alice.
Poi ritornò verso il viso sfiorandola leggermente.
- Eh! Si! - disse preoccupata Jeanne - Sei stata contaminata, chissà quante difficoltà avrai avuto!
Continuò con la sua operazione.
Alice sentì su di sé una pesantezza asfissiante che la intorpidiva, quasi un’anestesia.
Questo non le impedì di accorgersi che Jeanne le aveva sfilato il medaglione che portava al collo sbriciolandolo su qualcosa di metallico.
Aprì immediatamente gli occhi e si accorse che era sdraiata su un telo nero circondata da pugnali.
Con uno scatto felino saltò in ginocchio sul letto, con una mano afferrò un pugnale e con l’altra il collo della ragazza sbattendola con forza sul letto:
- Tu non sei Jeanne! - strillò puntandole il pugnale alla gola.
L’altra cercava di liberarsi ma non ci riusciva.
- Chi sei? Cosa volevi fare? 
- Che importanza ha? - rispose soffocata l’altra
- Cosa volevi da me?
- Dovevo farti prigioniera
- Il tuo nome!
- Non ho nessun nome
- Chi sono i tuoi capi?
- Non lo so. Io so solo che ho fallito ed ora verranno ad uccidermi
- Chi deve arrivare?
- Quelli a cui ti dovevo consegnare.
Alice si voltò verso la porta. Effettivamente aveva sentito dei rumori.
- Eccoli! Eccoli! - urlava la ragazza - ora mi prenderanno! Mi scuoieranno e mi lasceranno agonizzare nel fuoco! Uccidimi tu se hai pietà!
Alice tremava, sentì dei passi avvicinarsi velocemente.
Tornò a guardare la ragazza e con un colpo secco la pugnalò al cuore.
Il corpo della ragazza prese fuoco.
Alice fece un balzo indietro atterrita e incredula.
Afferrò lo zaino e saltò fuori dalla finestra.
Tre uomini irruppero nella camera e la videro fuggire via.
Con una certa agilità arrivò fino alla strada.
Si accorse di essere inseguita.
Corse all’impazzata e arrivò al suo alloggio, ma ebbe una brutta sorpresa.
Antor era scomparso, forse prigioniero.
Riconobbe i suoi occhiali a terra con le lenti in frantumi.
Corse all’interno del palazzo, ma non c’era anima viva.
I tre uomini la stavano raggiungendo. Corse sulla strada.
Anche la città era deserta, c’erano solo lei inseguita dai tre sconosciuti.
Un tombino si aprì ai suoi piedi.
- Vieni - le disse un tipo che intravedeva all’interno.
Alice non aveva scelta, saltò nel cunicolo.
Un ragazzo sporco e magrissimo la prese in braccio e l’aiutò a scendere richiudendo il tombino sopra di loro.
I tre uomini si fermarono di colpo come se obbedissero ad un comando e tornarono indietro camminando lentamente.
Nelle strade della città riapparve la popolazione che passeggiava osservando le vetrine dei negozzi.
- Scappa! - le disse il ragazzo - Da questa parte, troverai il nascondiglio dei Jiop
- E tu? - chiese Alice con il fiatone
- Io sto morendo, come tutti - rispose aprendo la giacca. 
Mostrò ad Alice una grossa piaga sul petto, piena di sangue e pustole violacee che pulsavano.
Alice rimase imbambolata. Il ragazzo sorrise e la invitò a fuggire.
Lei corse via nei corridoi, scese nelle zone più basse delle fogne.
Correva senza voltarsi indietro, scavalcando cadaveri o moribondi senza più farci caso.
Proprio in quel momento i contatti tra noi e lei si erano riattivati.     
- Alice sono Uriel! 
Appena sentì la mia voce fermò la sua corsa e si appoggiò al muro per riprendere fiato.
- Uriel sono a pezzi - disse con un filo di voce
- Non ti fermare per carità, devi uscire da quel labirinto!
Alice riprese a correre.
Correva precipitosamente, ma ad un certo punto frenò lanciando un urlo.
- C’è un uomo che cammina e parla da solo - mi riferì Alice.
L’uomo parlava agitando le braccia per aria, sembrava cieco. 
Vestito di stracci, molto grasso, con capelli radi ma lunghi come la barba bianca  crespa e sporca:
- Cadranno le stelle dal cielo! - urlava con una voce potentissima - In un’ora sola è giunta la tua condanna! Perché i tuoi mercanti erano i grandi della terra, perché tutte le nazioni dalle tue malie furon sedotte! Chi non temerà o Signore, e non Glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei Santo! Tutte le genti verranno e si prostreranno davanti a te!   
L’uomo camminava barcollando. Alice indietreggiava.
- Recita l’Apocalisse di Giovanni - mi disse sconcertata.
L’uomo cadde, forse svenuto.
Alice si chinò su di lui:
- Uriel è impressionante - esclamò - ha un’infinità di croci incise sulla pelle, perde sangue... ha delle armi...  
- Prendi le armi, e fuggi! - incitai.
Stremata arrivò al nascondiglio dei Jiop. Saltò in sella su uno e partì.
L’uscita era vicinissima e subito decollò dirigendosi verso il deserto.
Alcune navicelle dei guerrieri di Xantyan la raggiunsero.
Iniziò un altro inseguimento. Alice volava spedita con il Jiop.
Le navicelle le sparavano contro globi di fuoco e lei rispondeva sparando con le armi trovate addosso all’uomo nelle fognature.
Io e Gabriel seguivamo tutto con apprensione, cercando di capire cosa accadeva ascoltando bene tutti i rumori che ci arrivavano. 
Dopo un’infinità di acrobazie per schivare i nemici fu costretta a fermarsi.
Si trovò al centro di un cerchio formato da navicelle nemiche.
Ormai tutto sembrava perduto.
Alice però ripartì con il Jiop puntando contro una navicella.
Una mossa suicida.
A sorpresa il cerchio si aprì. La lasciarono passare.
Era dinuovo libera.
Volò lontano, poi cominciò ad abbassare la quota tanto che si lasciò cadere a terra.
Lei rotolò nella sabbia, il Jiop scivolò lontano ancora acceso.
Alice rimase sdraiata a terra, poco dopo il Jiop si spense.
Alzò lo sguardo davanti a lei: vide solo una distesa di terra arida.
Si sollevò sulle ginocchia appoggiandosi sulle braccia.
- Alice ci sono sempre - dissi preoccupato - mi senti vero?
Alice scoppiò a piangere, era disperata.
Io e Gabriel ci guardammo allarmati.
- Cosa ci faccio qui?! - strillò fra i singhiozzi - Mi avete buttato in mezzo all’orrore! Avete aspettative eccessive su di me! Cosa volete!?
- Ti prego non piangere - le dissi - non devi parlare così, non sei sola noi siamo sempre con te
- Siete lontani! - continuava a singhiozzare - Proprio  ora che avevo trovato una persona con cui potevo parlare...chissà che fine ha fatto...
- Sono sicuro che troverai altri dei nostri... - cercai di consolarla, ma mi strillò con la voce strozzata:
- Non c’è nessuno lo capisci!? Non c’è niente! Siete tutti lontani...Io voglio tornare da voi...    
- Non posso sentirla in questo stato - mi disse Gabriel
- ...Mi sento sola!
- Non sei sola - continuai, ma devo dire che ero meno convinto di lei
- ...Voglio tornare a casa... - continuò Alice con un filo di voce 
- Non abbiamo più una casa - mormorò fra sè Gabriel
- ... Mi mancate tanto...
- Alice devi essere forte - continuai - non sei sola, noi siamo sempre insieme a te, ma ti prego non piangere. Se tu sei triste anche noi siamo tristi...Ci manchi tanto anche tu...
- Allora venite a prendermi e portatemi via io non voglio continuare!
Gabriel sembrava non ascoltare più le parole di Alice, camminava lentamente su e giù fra le poltrone della sala, lanciando occhiate in giro come se cercasse qualcosa.
La comunicazione con Alice si interruppe.
Gabriel si fermò e mi guardò dritto in faccia:
- Ho bisogno del tuo aiuto  
- Qualunque cosa - gli risposi
- Ti porterò un oggetto che deve arrivare ad Alice
- Arriverà - dissi felice di essergli utile.
Gabriel uscì dall’astronave e s’incamminò sulla superficie di Amaltea rovistando fra le pietre.
Ne raccolse una: una lastra chiara piena di venature sfumate, molto bella.
La sfiorò con un dito e su quella lastra si formarono delle parole.
Non si accorse che il Re lo stava osservando.     
Mentre Gabriel rileggeva ciò che aveva inciso, il Re si avvicinò discretamente.
- E’ un pensiero per la tua Alice? - gli chiese
- Non mi è permesso neanche questo?
Il Re sorrise e prese la pietra tra le mani, lesse il contenuto dell’incisione poi l’accarezzò riconsegnandola a Gabriel, che lo guardava perplesso:
- Così potrà sentire la tua voce - disse il Re
- Sei sempre più tortuoso - mormorò Gabriel.
Poco dopo Gabriel mi consegnò la pietra.
Anch’io lessi quello che aveva scritto e ne fui toccato:
- Lo riceverà appena si sveglierà - promisi. 
Avevo ripristinato il contatto con lei, e mi ero accorto con sollievo che si era addormentata.
Gabriel non rimase ad aspettare che si svegliasse, mi disse invece che si sarebbe allontanato per un pò.
- Alice, stai dormendo o sei sveglia?
- Mi hai svegliato tu - rispose seccata
- C’è un regalo per te
- Cos’è uno scherzo? Uriel non giocare non sono proprio in vena...
- Non scherzo, guarda nel tuo zaino.
Alice sbuffò, ma rovistò comunque nello zaino. Silenzio.
- L’hai trovato?
- Si - rispose sorpresa.
Alice teneva la pietra che Gabriel mi aveva consegnato e la guardava stupefatta.
- Ti ha sentito piangere e così ha scritto una poesia per te. Se fai scorrere le dita sulle parole potrai sentire la sua voce.
Alice non parlava, guardava la pietra come fosse un miraggio.
Lesse lo scritto poi fece scivolare le dita sulle incisioni:

IL CANTO DELL’ANGELO
Prendi le mie parole e conservale nella tua Anima
Non ci sarà distanza fra il tuo mondo e il mio
Non ci sarà odio che tu non possa sconfiggere
Basterà che tu pronunci il mio nome ed io verrò da te
Supererò le montagne e i mari solo per te
Queste sono parole che attraversano il tempo
Tu non sarai mai sola
Perché io sarò il tuo angelo
Nessuna armonia si spezzerà finchè ti ricorderai di me
Io sarò lì come un ombra per non farti abbagliare da una falsa luce
Canterò la tua melodia finchè non ci sarà dato di ritrovarci
Basterà un tuo richiamo
Io volerò da te
Supererò tutti i confini solo per te
Queste sono parole che la pioggia non cancella
Tu non sei sola
Perché io sono il tuo angelo

Alice non parlava, rimase ferma con la pietra fra le mani, incredula ed emozionata.
- Gabriel è lì? - mi chiese
- No non è ancora tornato.
Non disse altro ma la sentivo strana, lasciava andare dei sospiri stanchi.
Ripose la pietra nel suo zaino.
- Se vuoi dirgli qualcosa lo puoi fare, lui può sentirti
- Non sò cosa dire - mi rispose con un certo disagio - mi sento una deficiente, sono confusa...
- Perché non provi a dire quello che davvero vuoi?
Alice rimase zitta, pareva pensierosa.
- Vorrei che Gabriel fosse qui con me - disse tutto in un fiato.
Io sorrisi, sembrava che Alice avesse fatto uno sforzo esagerato per pronunciare quelle parole così semplici.
- Sono sicuro che verrà, non so in che modo, ma sarà presto insieme a te.
Alice riprese il suo Jiop e partì.
Non sapeva bene dove andare né cosa fare, così per ore e ore sorvolò il deserto.
Non c’era niente e nessuno solo lei e in un paesaggio secco e polveroso.
Dal canto mio, ripresi a lavorare sullo schermo.
Aver risolto i problemi con i collegamenti audio mi aveva dato fiducia, ormai ero convinto che avrei potuto riattivare anche il collegamento video.
Non procedevo bene, mi fermavo spesso ed ero distratto, aspettavo l’arrivo di Gabriel da un momento all’altro, ma in tutto il giorno non si fece vedere, né diede sue notizie. Il chè mi suonò piuttosto strano, aveva sempre seguito con passione tutte le operazioni, era la prima volta che mancava.
Lo mandai a chiamare.
Dopo un bel po’ di tempo mi fu risposto che Gabriel era sparito, assolutamente irrintracciabile.
- Credo di aver capito dove è scappato questa volta - mi venne da ridere e scrollai le spalle.
Mi rassegnai a lavorare da solo.   

Era buio, nel cielo erano ripresi i combattimenti.
Alice seduta sulla sabbia a testa in sù li guardava.
Un fascio di luce andò a colpire qualcosa dietro le rocce.
Un’esplosione e un grande fuoco illuminò a giorno il deserto.
Alice saltò in piedi e corse a vedere cosa era stato colpito.
Sembrava un accampamento: distingueva a fatica pezzi di stoffa incendiati volare in aria in un fumo nerissimo.
Si sentivano urla fra le fiamme, ma non si vedevano persone fuggire dal rogo. Alice vide soltanto un curioso animaletto piccolo piccolo, sembrava una scimmietta.
La cosa la meravigliò non poco: in quel pianeta non aveva mai visto animali.
La scimmietta corse verso di lei, le saltò al collo aggrappandosi al vestito ed ai capelli.
Alice afferrò l’animaletto e lo guardò bene: non aveva segni di bruciatura e neppure aveva il manto affumicato dall’incendio. 
- E tu da dove sbuchi? - rise scuotendola.
La scimmietta tutta festante si riattaccò a ventosa ai capelli.
Alice tornò dove aveva lasciato il Jiop.
Appena arrivata la scimmietta saltò sul mezzo. Alice trasalì.
Si avvicinò e la guardò bene: sotto il collo aveva uno strano segno, il manto aveva una sfumatura così particolare da formare la lettera G.
- Non è possibile! - esclamò Alice.
La scimmietta cominciò a saltare e strillare.
- Sei proprio tu? - Alice era incredula.                  
La scimmietta le saltò dinuovo in braccio.
Alice scoppiò a ridere, felice e divertita.
- Questa si che è una sorpresa! - disse abbracciando l’animaletto che non si fermava un secondo - Come sei piccolo - disse baciandogli la testa.
La scimmietta si fermò.
Gabriel aveva trovato un sistema stravagante ma efficace per avvicinare la nostra Principessa.
Una strana coppia davvero.
Con il Jiop viaggiarono nel deserto, sorvolando villaggi abbandonati, e quasi completamente ricoperti dalla sabbia.
Mai un segno di vita.
La notte osservavano i combattimenti in cielo fra le legioni di Xantyan e quelle di Michael.
La compagnia della bestiola tirò su il morale della nostra Principessa.
Per tutto il tempo non facevano altro che giocare.
Qualche volta Alice si metteva a cantare, agli animali piace la musica.
Con le sue melodie riusciva ad immobilizzare l’animaletto, che altrimenti era sempre saltellante, non stava mai fermo.
Per alcuni di giorni vissero comunque in pace e tranquillità.
Finchè una mattina Alice, nel dormiveglia, intravide una figura misteriosa dalle movenze signorili.
Non fece in tempo a distinguerla, ma non le sembrava del tutto sconosciuta.
Le girava intorno e la guardava avvicinandosi moltissimo.
Capì chi era: era Xantyan.
Scattò in piedi, prese lo zaino ci infilò a forza la scimmietta, che si svegliò di soprassalto, e saltò sullo Jiop.
Solo allora si accorse che poco sopra il terreno stazionavano un numero impressionante di navicelle nemiche.
Partì con il Jiop in una fuga che sembrava persa in partenza.
Le navicelle fecero subito fuoco, e lei rispose con le armi che aveva ancora con sé. Ma il nemico non puntava contro di lei, Alice se ne accorse subito.
Il fuoco veniva sparato sul Jiop e sul suo zaino.
Malgrado l’agilità che Alice aveva imparato ad avere con quel mezzo, il Jiop venne colpito e distrutto. Alice cadde a terra la scimmietta le saltò in braccio.
Fu colpita anche la bestiola che svanì nel nulla.
Le navicelle si allontanarono. Alice era nuovamente sola.
Istintivamente frugò nello zaino per recuperare la pietra che Gabriel le aveva mandato, ma non c’era più. 
In quel momento io vidi apparire Gabriel davanti a me, seduto a gambe incrociate sul palco, dell’anfiteatro.
- Sembra proprio che non vi possiate incontrare in nessun modo - gli dissi mortificato.        
- Ho paura di metterla maggiormente in pericolo - rispose accigliato - ma io non mi arrendo - concluse sicuro di sé.
Alice era furiosa, gettò le armi a terra e cominciò a correre.
Si guardava intorno sperando di trovare qualcosa, ma come al solito non trovò niente. Continuò a correre, più avanti vide altri incendi.
Decise di aspettare prima di andare a vedere.
Non ci riuscì, era frenetica, corse ancora e raggiunse quello che  sembrava essere stato un altro accampamento. 
Qui non trovò animali, ma persone, tutte morte.
Si accorse però di un lamentio flebile, infantile.
Si infilò fra alcune rocce e trovò un bambino, rannicchiato che piagniucolava.
- Sei rimasto solo pure tu - le disse accarezzandole la testa - era la tua famiglia?
Il bambino annuì. Era molto grazioso con i capelli nerissimi e due enormi occhi di un blu profondo.
Alice si accorse che il bambino aveva la bocca sporca di sangue.
Si apprestò a pulirlo bene.
- Come ti chiami?
Non ci fu risposta.
- Capisci quello che dico vero?
Annuì ancora.
- Non vuoi dirmi il tuo nome?
Sempre silenzio. Alice ebbe un brutto sospetto, gli fece aprire la bocca e con orrore vide che gli era stata tagliata la lingua.
Lo abbracciò stringendolo forte. Lo aiutò subito a sciacquarsi e sputare il sangue. Solo dopo riprese a parlare con lui:
- Riesci a dire: A?
- Aaaa - rispose il piccolo
- B?-
- Bbii
- E?
- Eee
- Emme?
- Eeemmmeee
- Bene: con calma dimmi il tuo nome
- Bbbuueeeee
Alice sgranò gli occhi meravigliata:
- Buer? Ho capito bene?
Il bambino annuì e Alice si lasciò cadere seduta su una grossa pietra, sconsolata:
- Perfetto! Sei un mio potenziale nemico! Buer, molto piacere: io sono Alice - disse ironicamente stringendo la mano del bambino - ma cos’è vi ammazzate anche tra di voi ora?  
Alice guardò il piccolo che altro non era che un figlio dei seguaci di Xantyan, e considerando il nome, era si nato in uno dei pianeti del cerchio esterno del Regno, ma anche consegnato all’addestramento per farlo diventare un fedelissimo tra i suoi assistenti.
- Cosa ci fai qui proprio non riesco a capirlo...Lo sai che dovrai venire con me?
Il bambino la guardava con occhi grandi e sognanti.
Alice rise. Pensò a Gabriel: le aveva insegnato come si scalano le montagne, come si maneggia una spada, a combattere con i bastoni,
ma non a trattare con i bambini.
Proprio lui che con i bambini aveva sempre a che fare!
- Non so se sei stato fortunato a trovare me - rise - comunque non hai scelta, qui non puoi stare. Andiamo.
Alice lo prese per mano e cominciarono a camminare.   
Camminarono per ore, sotto un Sole rovente.
Alice però non aveva timori di sorta, sentiva in cuor suo che aveva preso la direzione giusta e che presto o tardi avrebbero incontrato qualcuno.
Più tardi che presto forse, perché per due giorni la situazione non mutò.
Lei non si stancava a camminare, Buer però si, allora per non rallentare l’andatura, lo portava sulle spalle, o sulle braccia.
Per dormire si avvolgevano nel mantello di Alice, abbracciati stretti stretti, per ripararsi dal freddo che nel deserto era direttamente proporzionale al caldo insopportabile che c’era durante il giorno!
Si fermarono sotto una roccia in uno spicchio d’ombra:
- Immagino che avrai fame - disse preoccupata.
Buer annuì.
- Io non ho niente da mangiare con me, però ho dell’acqua - Alice rise - bevi! L’acqua fa’ bene alla pelle, pulisce il corpo e lo spirito...bevi bevi: è tutta salute!
Buer bevve, Alice infine gli svuotò la borraccia in testa bagnandolo completamente. Scoppiarono a ridere e si misero a giocare.
Buer sembrava essersi già affezionato a lei.   
Quando il caldo si fece più sopportabile ripartirono.
Trovarono una piccola oasi.
Alice decise che era un’ottima occasione per fare un bagno.
Si spogliarono e si tuffarono nel laghetto.
Oltre a giocare con Buer nell’acqua fresca, Alice lavò il suo vestito e gli abiti del bambino.
Si accorse però di averlo perso di vista.
Lo trovò arrampicato su un albero, molto in alto.
- Ehi diavoletto! Vedi di scendere, hai già perso la lingua se cadi e ti rompi un altro pezzo sono guai seri!  
Buer scese subito, meravigliando Alice per la sua ubbidienza, ma ancora di più per quello che le consegnò.
Aveva raccolto dei frutti in cima all’albero.
- Così piccolo e già cosi autonomo, sono fortunata - gli sorrise - questi li conservo nello zaino per quando avrai fame.
Durante la notte che passarono nell’oasi Alice venne svegliata da strani suoni e da luccichii evanescenti.
Intorno a lei e Buer si erano radunati strani personaggi che sembravano fantasmi: esseri eterei trasparenti che accordavano degli strumenti musicali.
Iniziarono a suonare una musica delicata dal sapore antico.
- Alice - intervenni io
- Uriel, chi sono questi? - mi domandò subito
- Non avere paura - chiarii immediatamente - è il nostro Re che li ha mandati, per tenerti compagnia
- Il Re ha fatto questo per me?
- Per te e per Gabriel - specificai guardando Gabriel che incredulo si voltò verso di me.
Ascoltammo insieme ad Alice la loro musica, una canzone:

CORO MASCHILE:
C’è un fuoco che notte e giorno si accende al comando
E’ il fuoco che indica la strada
E’ il fuoco che ti dice chi sei

C’è un Re che aspetta un segnale
Il segnale per tornare
E’ il Re dimenticato
E’ il Re esiliato

Ci sono conchiglie disperse sulla sabbia
Le conchiglie che un tempo suonavano
Le conchiglie che segnano il tempo

CORO FEMMINILE:
Ho visto l’ala di un Angelo accarezzare i capelli di una Principessa
Un angelo che piange per la sua amata
Un angelo che fugge dal cielo per la sua amata

CORO MASCHILE E FEMMINILE:
Il vento ti spingerà verso il tuo destino
Per seguire la corrente di un fiume che ti ha rinfrescato
Ascolta ancora il canto del tuo angelo che piange per te
Il canto del tuo angelo che vive per te

Appena terminarono di cantare i musicisti sparirono.
Nell’ascoltare quelle parole io scoprii di essere un vero romanticone, dato che mi misi a piangere per la commozione.
Gabriel rise, non so se per la mia reazione, se per ironizzare su ciò che aveva sentito cantare, o per le parole di Alice, che furono:
- Non immaginavo che il nostro Re fosse così sentimentale!      
Vidi Gabriel sparire sotto i miei occhi.
Alice svegliò Buer e dopo pochi minuti erano già in cammino.
Sulla loro strada incontrarono strane costruzioni.
Delle architetture gigantesche altissime, nere senza finestre, piene di guglie e torri che svettavano verso l’alto.
Misteriose e affascinanti attrassero la curiosità dei due viandanti.
Camminarono intorno a ogni palazzo che videro, ma non trovarono nessun accesso che permettesse di entrare e visitarne l’interno.
Su una guglia Alice e Buer videro un bellissimo uccello che li osservava. Sembrava una sentinella.
Grande, con ali e coda dal piumaggio ricco dai colori smaglianti:
blu scuro sulla testa ed il collo, ciuffi di lunghe penne sfrangiate blu cangiante e giallo cadmio ai lati del petto. La livrea verde e, dalla coda, due lunghissime penne blu che scendevano ondeggianti come nastri.
Voi lo conoscete come Uccello del Paradiso.
Quando ripresero a camminare, Buer indicò ad Alice di guardare verso il cielo.
Il grande uccello volava proiettando su di loro la sua ombra per ripararli dal calore del Sole.
- Aaaabbbiieee - si sforzò di dire Buer.
Aveva riconosciuto Gabriel che si era nascosto sotto le spoglie di quello spettacolare animale.
Alice non disse niente si limitò a guardarlo volare.
- Vuoi mangiare? - chiese al bambino - Ci sono ancora i frutti che hai raccolto sull’albero.
Il bambino annuì e tese la mano con il palmo pronto a ricevere il suo pasto.        
Camminarono ancora molto, riparati dall’ombra delle ali di Gabriel, che manteneva il suo volo molto alto e lontano dai due.
Al tramonto riapparvero i musicisti. Buer ne fu incantato.
Alice si sdraiò a terra e abbracciò il bambino avvolgendosi nel  mantello:
- Anche questa sera abbiamo un concertino! - disse ridendo.
Iniziarono a suonare. Rispetto alla sera precedente erano in numero minore ed a cantare fu solo una voce femminile:

Il mio cuore è triste perché non ho riconosciuto il vero amore
che mi passava accanto
Avevo le sue parole che segnavano la mia Anima
Eppure ingenua ho dimenticato il suo nome

Quanta strada dovrò ancora fare per ritrovare il mio vero amore?
Per non sbagliare ancora?
Riconoscerò la sua luce
Mi lascerò avvolgere dal suo mantello
Lascerò che le onde del suo mare s’infrangano sugli scogli
Lascerò che il suo profumo apra i miei occhi
Torna da me mio caro amore
Torna da me mio vero sposo

Alice guardava Buer estasiato, che rideva e applaudiva.
- Ti piace questa musica? - gli chiese.
Buer annuì velocemente sorridendo.
- Mi dispiace per te, ma il tuo Re non è in grado di comporre melodie come queste.
I musicisti non andarono via subito, ma continuarono a suonare.
Buer si addormentò, Alice invece aveva visto il grande uccello atterrare.
Decise di avvicinarlo.
Passò accanto ai musicisti. Incantevoli: diafani, brillanti, come fossero di vetro.
Li guardò uno ad uno, li osservava da vicino senza che loro potessero vederla.
Ne riconobbe alcuni.
Si ricordò di quando lei cantava nella Sala dei troni.
Alice volse lo sguardo verso il grande uccello che si era accucciato in terra. Sembrava la stesse aspettando.
Si inginocchiò davanti a lui e gli prese il muso con una mano.
Gli guardò attentamente gli occhi, verdi ma molto scuri:
- Gabriel - gli sussurrò avvicinandosi - ti ho mai detto che il tuo nome mi piace tanto? Ha un bel suono ed è anche bello da pronunciare.
Gabriel appoggiò la sua testa sul braccio di Alice che gli accarezzava le ali.
Quando i musicisti smisero di suonare Gabriel si alzò in volo.
Alice si voltò: i musicisti erano spariti, Buer continuava a dormire.
Il mattino dopo fu Buer a svegliare Alice.
- Lo sai che oggi non ho voglia di muovermi? - gli disse assonnata, poi scuotendo i capelli del bambino rise - Ma noi siamo impavidi e tenaci, quindi in piedi!
Buer aveva deciso di portare lo zaino di Alice, e continuava a strapparglielo dalle mani. Lei non voleva, lo zaino era troppo pesante ad aveva paura che con un carico del genere Buer si sarebbe stancato presto.
Prevedeva una giornata faticosa: lei che avrebbe dormito volentieri tutto il giorno, Buer che faceva i capricci.
Non avevano più nemmeno l’ombra delle ali di Gabriel, che era tornato ad aiutarmi. 
All’improvviso però apparvero i musicisti. Seguivano i due ad una certa distanza.
Eseguirono una canzone accompagnata da tamburi e flauti.
Una voce femminile cantava ed un coro maschile interveniva sul finale delle strofe.
La canzone piaceva così tanto a Buer che saltellava e ballava accanto ad Alice che invece camminava con un passo lento e affaticato.

C’è una guerriera che viaggia da sola
Forgiata come un’arma
Schermata dalla sua sola forza

Il suo orgoglio è scritto nel Sole
Lei non parla del suo mondo lontano
Aspetta i segni portati dai torrenti

La notte osserva il cielo per ritrovare i suoi amici
I suoi ricordi assomigliano ai sogni
Non sà che cammina su un tracciato già segnato

E’ una guerriera che viaggia da sola
E’ una sposa che ha imparato a seguire il canto del vento  

Si alzò un vento impetuoso che sollevò molta sabbia.
I musicisti sparirono immediatamente, Alice strinse a sé Buer che cominciò a tossire violentemente.
- Che giornata! - esclamò seccata - Ci mancava solo il vento!
Un vento inaspettato: freddo, freddissimo.
Il cielo aveva preso il colore rossastro del deserto, la sabbia s’insinuava dappertutto. Alice e Buer camminavano ad occhi chiusi.
Poi, all’improvviso, in pochi secondi, come era comparso, il vento sparì.
Tornò il caldo, e il cielo limpido.  
- Come stai? - chiese preoccupata.
Buer le sorrise. Alice si abbassò su di lui e gli tolse la sabbia dal viso.
Lo spolverò ben bene, facendogli il solletico.
Ripresero a camminare.
Dopo qualche minuto Alice, notò una figura alta ed elegante vestita con un lungo abito nero, come i capelli che spioventi scendevano fino oltre i fianchi.
Camminava sulla cresta delle alture sabbiose di fronte a loro osservandoli.
Alice riconobbe subito Xantyan. Lui si fermò, Alice e Buer pure.
Erano proprio faccia a faccia non molto distanti.
Xantyan aveva gli occhi puntati su di lei. Buer ebbe paura.
Si nascose dietro le gambe di Alice che lo rassicurò:
- Non avere paura, quello è il tuo Re - si abbassò all’altezza del bambino e lo abbracciò invitandolo a guardare Xantyan - non devi aver paura del tuo Re.
Buer alzò gli occhi. Lo sguardo di Xantyan lo ipnotizzò:
- E’ beeeeoooo - disse
- E’ bellissimo - sottolineò Alice.
Alice era rapita, ma non riusciva a sopportare il fatto che tanta bellezza fosse associata ad altrettanta malvagità.
Xantyan  ed Alice si fissarono a lungo, poi lui voltò le spalle e con fare altero si allontanò.    
Buer riprese a tossire, Alice era preoccupata per la sua salute.
Trovò un anfratto tra le rocce e decise che era il caso di fermarsi un pò.
Gli fece bere tutta l’acqua che aveva, ma Buer continuava a tossire.
Poi si addormentò avvolto nel mantello.
Alice nel frattempo aveva notato la presenza di uno sconosciuto aggirarsi intorno al loro rifugio.
Attese che si fece buio e andò ad indagare.
A poca distanza da dove si era nascosta con Buer, trovò un seguace di Xantyan, uno dei suoi soldati.
Questo aveva acceso un falò e mangiava il grosso uccello che Gabriel aveva usato per avvicinare Alice.
- Vieni vieni - le disse il tipo - non mi girare intorno ti ho visto - si girava su di sé per trovare Alice che rimaneva nascosta - dai vieniti a sedere qua, sono troppo vigliacco per mettermi a fare il guerriero.
Alice uscì allo scoperto, illuminata dal fuoco.
- Dai siediti e tienimi compagnia - rise lui battendo una mano sulla sabbia.
Alice si sedette vicino e lo guardò mangiare.
- Non ero sicuro ma ora che ti vedo da vicino ti ho riconosciuta: tu sei Alice la sposa di Hal 
- E tu chi sei?
- Uno che prova a farsi gli affari suoi - continuò a ridere - lo sai che io sono stato un tuo ammiratore?
- Cosa? - sorrise Alice
- Quando venivi a cantare per noi io ero sempre lì ad ascoltarti...Poi è scoppiata ‘sta guerra ed è finito tutto! Ma a me non me ne frega niente, s’ammazzassero tutti...
Alice lo ascoltava divertita.
- Lo sai che si dice in giro? Che la guerra è un’idea del tuo Re.
Tutta una manovra  per far fuori Xantyan. E lui come un allocco c’è cascato! Ci pensi? Armare ‘sto popò di roba per assicurarsi il dominio sull’Universo in eterno! Ma forse non ti va’ che parli così del tuo Re...
- Non ti preoccupare - gli rispose serena - è tutto possibile in questo mondo   
- A me non mi va’ di perdere tempo dietro ‘sti due! - continuò masticando - E poi ‘sto Xantyan, chi è? Chi l’ha mai visto? Alcuni dicono che nemmeno esiste!
- Esiste esiste - sorrise Alice    
- Beata te che ci credi, io non credo a niente
- Insomma cosa fai?
- Provo a fuggire: magari sulla Terra, è un punto d’incontro quello, non è un granchè ma meglio di qua è di sicuro. Quasi tutti sono scappati laggiù  
- Ma perché sulla Terra Xantyan non ha mandato nessuno?
- Come?! Vuoi scherzare? Siamo ovunque noi! Ma lì pare che la situazione sia più transitoria per tutti: si và si viene, si torna...Boh! Ma che ne so...Io ci provo, se mi pizzicano peggio per me!
- Posso chiederti un favore?
Annuì continuando a masticare un grosso boccone di carne che gli riempiva la bocca.
- Potresti tenermi da parte un po’ della tua cena?
- Non mi dire che vuoi mangiare?
- Non è per me, sto viaggiando con uno dei tuoi
- Ma che è un prigioniero?
- Non faccio prigionieri io! E’ un bambino. L’ho trovato unico superstite di una strage. Non ho capito cosa è successo, ma che fate: eliminate anche i vostri compagni?
- A volte si - rispose serio - se qualcuno non obbedisce agli ordini viene fatto fuori...
- E tagliate la lingua ai bambini!?
- A certi bambini che erano destinati a compiti speciali...Ma perché c’hai uno di questi?
- Si, vieni te lo faccio vedere.
Si alzarono e andarono a trovare Buer che dormiva ancora. 
- Non sta bene, tutta questa sabbia lo ha indebolito - sussurrò Alice - devo trovare un posto dove curarlo
- Beh non ci vuole molto, a pochi Gerr c’è un centro medico, l’ultimo rimasto, possiamo portarlo lì
- Vuoi dire che ci accompagni?! - esclamò felice
- Mah si! Ho una cariola, carichiamo il pupetto sulla cariola e noi andiamo a piedi, in un giorno ce la facciamo
-Oh che bello! Ti ringrazio! - lei lo abbracciò - Grazie grazie! 

- Fa amicizia con tutti la nostra Principessa! - esclamai
- Ha un cuore grande! - sospirò Gabriel - E’ per il suo cuore che l’ho scelta, non te lo ricordi più?
A sorpresa nella sala entrarono Raphael e Michael.
- Insomma voi due ve ne state sempre chiusi qua dentro a lavorare! - esclamò Michael - A che punto siete?
- A buon punto - risposi - fra poco avremo anche le immagini
- E’ la voce di Alice questa... - intervenne Raphael - E’ ancora su ICA?
- Si - risposi - si sta’ avvicinando ad un centro medico... 
- Dovrebbe fare in tempo a trovare Ver, è uno dei miei che ha salvato molti bambini - rispose Raphael.
Sia Raphael che Michael decisero di rimanere con noi a seguire ciò che accadeva alla nostra amica.

Per raggiungere il centro medico ci volle davvero solo un giorno di cammino, come il soldato aveva detto ad Alice.
-  Wè bella, io vi lascio adesso - disse mollando la cariola.
Solo in quell’istante Alice si ricordò che era in compagnia di un suo nemico.
Per lui arrivare fino al centro medico era un serio rischio: poteva essere catturato dai guerrieri di Michael o, forse ancora peggio, dai suoi ex compagni.
- Xantyan è geloso - sorrise salutandola - non perdona chi vuole allontanarsi da lui.
Alice lo abbracciò, gli diede un bacetto sulla guancia, afferrò la cariola e si diresse verso una serie di costruzioni fatiscenti.
Quando arrivò a destinazione si rese conto di trovarsi in una terra di nessuno, una vera e propria frontiera.
C’era un gran chiasso e confusione data dalla frenesia di chi vi abitava.
Alice ci mise un po’ per capire dove andare e a chi rivolgersi.
Passava da un caseggiato all’altro senza che nessuno le prestasse attenzione.
Attraversò quelle che sembravano corsie di un ospedale, magazzini, una mensa, dei piccoli uffici.
Buer nel frattempo si era svegliato e si era alzato in piedi permettendo ad Alice di proseguire più velocemente senza l’impiccio della cariola.
Trovarono un’infermeria.
- Qualcuno mi può ascoltare? - chiese Alice ad alta voce un po’ stufa
- Non puoi entrare devi aspettare fuori come gli altri, ci sono pochi vaccini... - borbogliò una donna
- Non mi interessa il vaccino mi serve un’informazione
- Non posso mica mettermi a chiaccherare proprio ora! Non vedi quanto c’è da fare?
Alice uscì nervosamente, portando via Buer, che sembrava stesse decisamente meglio.
- Perché tu gironzoli qui intorno? - le chiese un’altra donna        
- Sto cercando qualcuno che mi sappia dire dove posso lasciare questo bambino, è rimasto solo e ha bisogno di cure
La donna guardò Buer, inorridì:
- E tu vuoi che noi ci accolliamo questo? Ma lo sai chi ti stai portando appresso?
- Ha bisogno di essere curato e voi siete obbligati a...
- Ma che vuoi? Chi sei tu che vieni a darci ordini!? L’hai trovato e te lo tieni!
- Non posso tenerlo io devo partire! - Alice stava uscendo dai gangheri  
- Oh bella! Qui tutti stiamo per partire...
Alice perse la pazienza e il senno: si avventò sulla donna colpendola ad una spalla, questa urtò contro una parete.
Finirono per terra molti oggetti che erano su un carrello vicino.
Alice, allora, afferrò la donna per il colletto dell’abito e la fece urtare ancora sul muro, costringendola a farsi ascoltare.
- Tu adesso ricoveri questo bambino come fai con tutti gli altri! - gridò con gli occhi arrossati dalla rabbia
- Sparite tutti e due o vi faccio arrestare! - sbraitò la sua vittima.
Alice le diede un’altra spinta e si indirizzò verso l’uscita, prendendo Buer per mano:
- Non ti preoccupare - gli disse - andrà tutto bene
- Cos’è questa confusione? - intervenne un giovane medico
- C’è una pazza che... - rispose l’aggredita
- Sono io la pazza - Alice tornò indietro - vorrei sapere dove posso lasciare questo bambino.   
Il medico guardò Alice, guardò Buer e rise:
- Chi siete voi due? - domandò, ma Alice non rispose - venite vi accompagno.
Il giovane medico si presentò: il suo nome era Toey.
Si trattava dell’assistente di Ver, che apparteneva al Clan di Raphael:
- Quelli che vedi sono gli ultimi rimasti su questo pianeta, tutti gli altri sono o morti o fuggiti, anche Ver è fuggito
- Dove sono andati?
- Molti si sono alleati alle legioni di Michael, altri sono partiti per il Principato di Falbash, ogni cinque giorni ci mandano a prendere con una loro astronave. Altri si sono trasferiti sulla Terra
- E voi che intenzione avete?
- Partiremo tutti per Falbash, porteremo anche i bambini, ce ne sono rimasti solo duecento...anzi duecentouno se vogliamo contare anche lui. Arrivate appena in tempo, partiremo fra due giorni
- Cos’è quella recinzione?   
- Un campo minato, anzi un campo minato riconosciuto, in realtà rischiamo continuamente di saltare in aria. E’ pieno di mine anche dove stiamo camminando ora...Bene siamo arrivati: Fabel! Fabel!
Arrivò una ragazza tutta trafelata che frenò di colpo quando vide Buer.
- Che cos’è, uno scherzo? - chiese
- Ma insomma! - esclamò Alice esausta - Non morde mica!
- E’ tutto sotto controllo! - disse Toey a Fabel ridendo.
Fabel si avvicinò a Buer prendendogli il visetto tra le mani.
- Gli hanno tagliato la lingua - disse Alice
- Non hanno riguardo nemmeno per i loro cuccioli - mormorò Fabel - ci occuperemo noi di te.
Alice fece un sospiro di sollievo e accarezzò Buer:
- Sei contento di rimanere con loro?
Buer annuì, poi abbracciò Alice. Sembrava non volerla lasciare.
- Vieni piccolo - disse Fabel - ti faccio conoscere i tuoi nuovi amici.
Fabel portò via Buer che continuava a voltarsi indietro per guardare Alice, che lo salutava sorridendo.
- Chissà che non ne esca qualcosa di buono - disse a Toey guardando Buer.
Nei due giorni a seguire Alice diventò l’aiutante di Fabel.
Organizzava delle sedute di pittura per i bambini.
Preparava tutto il materiale per farli disegnare e poi dava loro un’infinità di temi.
Per Fabel fu la salvezza: Alice li teneva inchiodati tutti e duecento sui loro lavori artistici per ore e ore.
Buer no, Buer era incuriosito dal lavoro di Toey e Fabel, si divertiva più con loro due che con i suoi coetanei. Ma spesso tornava da Alice.
- Credo gli dispiaccia lasciarti - disse Fabel
- Non posso portarlo con me - rispose Alice tenendolo sulle ginocchia - non credo farebbe un buon affare se volesse seguirmi
- Sei strana, sembri il nostro capo. Ver, era sempre così misterioso: comparso dal nulla con un sacco di materiale per curare noi e le nostre famiglie e poi sparito...
- Toey ha detto che è andato su Falbash...
- E’ quello che sembra, ma in realtà, di Ver, non abbiamo mai saputo niente di più oltre a quello che faceva qui. Chi fosse o da dove venisse rimane un mistero! Tu non sei tanto diversa da lui
- Guarda ti piacciono? - disse una bambina ad Alice porgendole dei disegni.
Alice fù colta da un’emozione fortissima, aveva riconosciuto Gabriel in uno dei disegni che aveva davanti.
- Beatrice! - esclamò Fabel - Quando la finirai di fantasticare?
Alice guardò Fabel non capendo di cosa stesse parlando.
Fabel prese i fogli dalle mani di Alice e li agitò per aria.
- Beatrice è convinta che in cielo vivano degli esseri bellissimi, in una città tutta d’oro...
- L’hai mai vista quella città? - chiese Alice a Beatrice
- La vedo nei sogni
- E’ una sognatrice!
Alice non ascoltava gli interventi di Fabel, ma diede corda ai racconti di Beatrice:
- Nei sogni veniva anche lui - disse indicando il disegno - è un angelo dolce e buono con le ali enormi, ma ora viene un altro angelo...
- Chi è quest’altro? - domandò Alice
- E’ un suo amico - poi con un tono confidenziale Beatrice sussurò - mi ha detto che l’altro non viene più perché è infelice...
- Un angelo infelice? - intervenne Fabel
- E’ infelice perché non può stare vicino alla sua fidanzata...
- Ma tu senti che fantasia!           
Alice guardò Buer e Beatrice, poi osservò Fabel che rideva.
- La mia situazione è grottesca - disse fra sé
- Come hai detto scusa? - chiese Fabel distratta
- Niente di importate - sorrise Alice - a volte parlo da sola!
Beatrice cominciò a strillare correndo fuori verso un altro bambino che teneva in mano uno strano oggetto che sembrava un giocattolo.
- Mettilo giù! - strillò Beatrice
- No! L’ho trovato io, è mio!
Fabel urlò terrorizzata di posare a terra quello che teneva in mano, ma il bambino si ostinava a disubbidire, Fabel insistette, allora il bambino arrabbiato lo gettò a terra violentemente.
Ci fu un’esplosione che fece uscire tutti dai caseggiati anche da quelli lontani.
Il bambino, a sua insaputa, aveva fatto esplodere una mina.
Il piccolo era ustionato ed aveva perso tutte e due le mani.
Alice lo portò subito in infermeria ma c’era poco da fare.
Fu curato, ma rimase monco e sfigurato a causa delle bruciature.
Quella fu l’ultima esperienza di Alice su ICA.
Quando tutti quelli del centro partirono con l’astronave del Principato di Falbash, la salutarono con molto affetto.
Buer la riempì di baci. Alice si congedò anche da Beatrice:
- Salutami i tuoi angeli - le disse
- Anche loro mi hanno detto di salutare te - le rispose la bambina.
Per qualche ora Alice rimase da sola fra le stanze, i corridoi, i letti, del centro abbandonato e silenzioso.
Poi un polverone si sollevò, lei si sporse da una delle finestre e vide la sua astronave pronta per portarla via.
- Devi andare sulla Terra - gli dissi
- Non è ancora finita? - brontolò lei
- No Alice, lo sai che c’è ancora da fare - risposi ironicamente
- Speravo in un condono - rise salendo sull’astronave.    
Il pianeta ICA era ormai la nuova dimora esclusiva di Xantyan.